GIOVEDI’ 29 SAN MICHELE. DI VINCENZO ACUNTO

In occasione della processione religiosa per i festeggiamenti di “Michele”, Santo patrono di S.Angelo
d’Ischia, le persone del posto sono solite (oggi un po’ meno) esporre all’esterno delle loro case: fiori,
immagini votive e copriletti matrimoniali ricamati a mano. I fiori rappresentano il segno di devozione e
ringraziamento, le coperte (considerata la loro funzione) tendono a recuperare la misericordia del Santo
perché renda prolifico il talamo matrimoniale.

La mia maestra elementare, la storica Giuseppina Iacono, era
solita esporre, di lato all’immagine del Santo, anche una scritta con un’invocazione “S. Michele pensaci tu”.
Un messaggio stringato, quanto efficace, che durante le processioni (almeno fino a quando vi partecipavo),
stimolava ai più lo stesso commento “Solo S. Michele può salvare questo paese”. In effetti, almeno per
quanto riguarda S.Angelo, sembra che l’invocazione non abbia dato i frutti sperati, considerati i tanti
“strappi” che il paese ha patito nei suoi connotati originali che lo resero incantevole al mondo intero,
attraverso i quadri dei tanti pittori che lo sceglievano come luogo di meditazione artistica, le fotografie e le
pellicole cinematografiche che, dalla fine degli anni 50 e nei successivi anni 60, lo consegnavano all’archivio
delle bellezze mondiali. Di poi uno tsunami, che nemmeno “Michele” è riuscito ad arginare, ne ha mutato
profondamente i tratti consegnando l’appetibilità dell’oggi, a quel filone turistico che altri (B.Valentino),
meglio di me, hanno saputo descrivere sulla stampa locale e nazionale. Non oso immaginare il futuro,
considerato che quest’anno, alle distrazioni amministrative, si è aggiunta anche quella del comitato
organizzatore dei festeggiamenti che, con scuse puerili, ha confinato le onorificenze al Santo Patrono nello
spazio retrostante il porto. Luogo che tutti sanno essere infrequentabile a fine settembre per la sua
inospitalità climatica. Chi ha contatti “celesti” informa che il Santo, di cui è storica la reattività, non avendo
gradito, sta affilando la spada pronto ad infilzare anche “Tlaloc”, dio Atzeco della Pioggia, che per i giorni
interessati provvederà di conseguenza. Come le previsioni già anticipano. Io penso che, essendo divenuta la
ricorrenza un evento mediatico e turistico, oltre che religioso, il sindaco dovrebbe intervenire,
ripristinando, ex cathedra, le vecchie usanze che erano frutto di ragionamento e non di reflusso post
elettorale non ancora deglutito. In attesa delle reazioni di S. Michele, oggi, anche gli ischitani sono chiamati
alle urne; afflitti, come tutti, da ansie, domande e aspettative. Prima di aggiungere altro, dobbiamo, però,
considerare che lo stato attuale che il paese vive, non ci è stato imposto da qualcuno ma l’abbiamo
determinato noi. Con le nostre distrazioni e superficialità. Imposizione è quella che il signor Putin sta
infliggendo agli ucraini dove, abusando della sua forza militare, uccide persone e distrugge ogni cosa per il
suo volere. Grazie a Dio in Italia, dalla fine della seconda guerra mondiale, nessuno è più venuto, con la
forza, ad imporci qualcosa. Con l’astuzia sì. Gli italiani hanno scelto liberamente le persone da cui farsi
amministrare e poiché, salvo la parentesi dal 1948 al 1970, abbiamo scelto male, la Nazione è stata
assorbita da una spirale di speculatori, esteri e nostrani, che l’hanno resa quella che è. E noi popolo suddito,
una massa di poveri sbandati. Ricordo al lettore che in soli 12 anni (1948/1960) l’Italia, da un cumulo di
macerie che era, divenne la più forte economia europea. Il che attesta che gli italiani, se messi in condizione
di poter fare, riescono a fare grandi cose. Da un po’ di anni, però, non è più così. Perché? Il perché va
ricercato in quegli strumenti del fare che vengono posti nelle mani del popolo che non sono più ispirata
dalla stessa logica di quel periodo. Qualche piccolo esempio per comprendere? L’abusivismo edilizio e la
devastazione ambientale di cui tanto si parla. Fino al 1977 chi aveva un pezzo di terra era titolare del diritto
a costruire. Per poterlo esercitare, era assoggettato alla “licenza edilizia”. Con la legge 10/77, il parlamento
(all’epoca portatore di valori che contrastavano molto con la proprietà privata), ululando di dover arginare
il fenomeno dell’abusivismo (peraltro, non virulento come oggi), sostituì la “licenza” con la “concessione
edilizia”. Al lettore, non informato, sembra una cosa di poco conto. Non è così: la licenza rende operativo
un tuo diritto, la concessione presuppone l’inesistenza dello stesso che, caso mai, è lo stato a darti. Un
concetto giuridico nuovo, fortemente limitativo della proprietà privata che ha prodotto, nel tempo (ed è
noto a tutti), un groviglio inestricabile e un contenzioso abnorme nel quale nessuno, pur se tenuto,
prendeva decisioni che, per i miopi, sarebbero state impopolari e avrebbero potuto ridurre i consensi
elettorali. Invece, se prese subito, sarebbero state indenni e l’esempio duraturo. La conseguenza è stata
che, da qualche anno, nella “foga surrogatoria esercitata da altro potere dello Stato”, anche la funzione di
controllo del territorio è stata assorbita dal giudice che, al posto del sindaco, dispone ed esegue la demolizione del fabbricato abusivo. Il magistrato, quindi, surroga l’amministratore al quale l’ordinamento e
il popolo assegna il compito di amministrare anche il territorio.

Secondo esempio: lavori pubblici. Da
quando incapaci si sono impadroniti della funzione legislativa, non sapendo come muoversi (lo dice Calenda
non io), si sono affidati anima e corpo alle lobbies che, a scopo di business, indirizzano “il legislatore” in
norme sempre più pasticciate. Quelle che regolano il sistema degli appalti (anche per piccoli interventi),
sono addirittura accompagnate dal pregiudizio che l’amministratore è, ex se, un corrotto o un concusso.
Per fare un lavoretto servono tante carte e tante verifiche che moltiplica la spesa e i danari residui servono
a fare ben poche cose. Cambiare una lampadina o chiudere una buca stradale, spesso diventa un’impresa al
limite del possibile. Poi succede che una pioggia, più abbondante del solito, ci costringe a cercare i morti
sotto il fango e a ripartire da zero. Per chi ha la forza. E allora che può fare il popolo? Deve tener ben
presente che oggi, 25 settembre, è una di quelle giornate (ricorre ogni cinque anni) in cui gli vien chiesto
cosa pensa di chi lo ha amministrato e scelga da chi vuole esserlo per il futuro quinquennio. Vista la
situazione in cui versa il paese (tra poco non potremo più nemmeno accendere la luce in casa o andare a
comprare il pane) dobbiamo ritenere che negli ultimi 15 anni siamo stati amministrati da incompetenti ed
incapaci che, per azioni lobbistiche, sono assurti, come meteore, sul proscenio pubblico a carpire la fiducia
degli elettori e, assicuratisi il potere hanno fatto di tutto per mantenerlo (vedi l’attuale legge elettorale).
Oggi, che siamo “schiattati in corpo” più del solito, abbiamo l’opportunità di dire la nostra nella cabina
elettorale.

Prima di ogni cosa, stiamo attenti e non crediamo ai sondaggi che, come vi ho detto la scorsa
settimana, sono fatti per deviare il libero convincimento del cittadino e consentire alle lobbies di
organizzarsi. Andiamo a votare tenendo ben presente che tante altre volte ci siamo dovuti pentire della
scelta fatta. Ricordiamo tutti che ci sono da fare, subito, cose non rinviabili (fissare un tetto al prezzo del
gas e dividere la bolletta energetica) che lo si sente dire solo da una proposta politica. Bisogna rimettere,
immediatamente, in moto le piattaforme che estraggono il gas dal fondo marino italiano per ridare energia
a noi tutti e la cosa la si sente dire dalla stessa parte politica di prima. Bisogna ancora, prima che le sirene
delle lobbies interessate agli affari incomincino a “succhiare” quei parlamentari insoddisfatti o predisposti
agli intrallazzi, fare qualche riforma costituzionale che riporti la politica in quella serenità operativa in cui
l’avevano messa i costituenti e affidi al popolo il potere, vero, di scegliere la persona da cui farsi governare,
modificando il sistema d’elezione del capo dello stato. Modifica che sento dire sempre e solo dalla stessa
parte politica di prima. Solo così avremo una classe politica autonoma e che decide. E la democrazia è
scegliere persone che decidono e non stanno lì a fischiar il can per l’aia. Sbagliare ancora o restare a casa
equivale a suicidare noi stessi e i nostri figli. acuntovi@libero.it

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