Le città crescono in verticale, sfidando la gravità, o in orizzontale, fagocitando le periferie: è successo a Berlino, Dubai, Parigi e Barcellona negli ultimi tempi. Napoli è invece immobile. In dieci anni la città ha vissuto come se fosse occupata da una potenza straniera, prepotente e arrogante. Nessuna idea di sviluppo, solo una stanca retorica che ha prodotto come unico risultato diverse aree pedonali, concepite in modo irrazionale, mentre languiva l’ordinaria manutenzione. L’amministrazione uscente è stata vittima di una sindrome da immobilismo comune a gran parte della classe dirigente locale: è meglio non fare che fare.
Questo approccio nasconde una sostanziale incapacità di progettazione. L’esempio emblematico è quello di Bagnoli, 330 ettari in uno dei luoghi più incantevoli d’Europa. Se si pensa che Dubai sorge nel deserto, si può immaginare quali potenzialità di sviluppo abbia l’area dell’ex Italsider. E, invece, in quasi trenta anni e circa 900 milioni di euro stanziati, Bagnoli è ancora una landa desolata, ancora senza futuro. Negli anni si sono avvicendati commissari straordinari ed elefantiache società come Bagnoli spa e Bagnoli Futura si sono succedute tra fallimenti e procedimenti giudiziari infiniti. I progetti sono stati stracciati e riscritti, spesso dettati solo da motivazioni contingenti, come dimostra il piano, subito abortito, elaborato e per accogliere l’America’s Cup nel golfo di Napoli. Di alberghi, ristoranti, spiagge, waterfront e varie attrazioni di leisure (come un mirabolante farfallario, utile struttura per i napoletani) non c’è traccia. La patata bollente Bagnoli è passata nelle mani di Invitalia che nel maggio scorso ha approvato, in seguito a un concorso internazionale di idee, tre progetti che ridisegnano l’area secondo principi di sostenibilità ambientale ed economico-sociale, accessibilità e mobilità interna. L’ultima tappa delle trentennale vicenda è la recente decisione del governo Draghi di nominare il sindaco di Napoli commissario per la bonifica.