VUCCULIATORIE ‘E CHEZZ’ MUSCH’. DI VINCENZO ACUNTO

  1. Vucculiatorie ‘e chezz’ musch’: il titolo, tratto dal dialetto foriano, ci porta nella ruralità di Forio d’Ischia della metà del secolo scorso, quando c’era la possibilità di imbattersi in qualche vecchio contadino (nato tra la fine dell’800 e l’inizio del 900) che, avendo poca attitudine all’uso della lingua italiana, si esprimeva, spesso, in un dialetto con una fonetica diversa e distante sia dal napoletano che dalle altre cadenze, pur dialettali, esistenti sull’isola d’Ischia a volte incomprensibili.

Per averne contezza è necessario leggere le opere dei poeti foriani Giovanni Verde e Pasquale Polito che hanno lasciato attestazioni bellissime della parlata foriana nella quale, ad esempio la lettera “e” era usata sia come vocale che come preposizione indicativa di una condizione o di una appartenenza quando anticipa il sostantivo che segue (es. ‘a razz’ ‘e cuogghi luong – in cui la ‘e pre-apostrofata diventa preposizione “di” per dire dell’appartenenza ad una stirpe o ad un modo d’essere). In tale contesto comunicativo non poteva mancare il frequente richiamo
dell’organo genitale maschile (peraltro ampiamente usato anche nella lingua italiana) come simbolo di
stoltezza, inefficienza, mancanza di pregio o di valore. I distinguo espressivi che utilizzano il sostantivo
(c….) sono numerosissimi e si usano in relazione ad un facere, a un dicere, a un interesse proprio o alla
persona (che per garbo verso il lettore non elenco). L’espressione che non avevo mai sentito in
relazione al “dire di qualcuno” è “vucculiatorie ‘e cazz’ musch” che qualifica sia il contenuto di quanto
detto che l’affidabilità del profferente. Era l’anno 1982/83 quando venni chiamato da una conoscente
per un problema di un suo vecchio zio, contadino foriano, che abitava nella strada che porta a Punta
Imperatore e si lamentava del fare di un vicino di cui non si fidava più. Dopo aver sentito le sue
rimostranze e la nipote che tentava di tranquillizzare il congiunto ripetendo che il vicino s’era
impegnato a risolvere il problema, l’anziano, tamburellando nervosamente il piede a terra, pronunciò
la frase della quale non capii né una parola né il senso. Mi rivolsi alla nipote per farmi dire e mi accorsi
che era arrossita e, curioso come sono, chiesi lumi. L’anziano ridacchiò e schernendosi verso la nipote
(‘e vecc’ gghioc’) che s’era allontanata verso la casa a prendere da bere, dopo una mia nuova richiesta,
prese a dire (sempre in strettissimo dialetto foriano che vi risparmio, in parte, perchè tuttora
incomprensibile):”Quann’ a cagghin se fa vecchia (traduco) e non fa più uova, cammina poggiandosi di
qua e di là. Con tale atteggiamento sta comunicando che vuole fare la chioccia (‘a voccl’). Cioè vuol
sedersi su quelle uova che non può più fare e, con il piacere che la riporta alla gioventù, le riscalda col
suo corpo fino a farle schiudere per la nascita dei pulcini. Nel tempo che è seduta, immobile (mentr’
cov’), per segnalare la sua presenza e la sua funzione è solita emettere un suono -cooo-co-cooo-co-
che viene definito “a cagghin vucculeea”, cioè parla a vuoto. Aggiunse poi: “quando una persona è
poco affidabile o credibile (che a Forio si qualifica/va ‘e chezz musc’), quel che dice è definito
“vucculiatorie ‘e chezz musc’ ”. Immagino che il lettore a questo punto si stia chiedendo il motivo della
particolare (e anomala) dissertazione sulla dialettica foriana. Mi è tornata alla mente nei giorni scorsi
dopo aver letto, dai social e sulla carta stampata, talune considerazioni sulla campagna elettorale di
Serrara, che hanno coinvolto la mia persona. Nel mio pezzo della scorsa settimana avevo auspicato che
l’evento si caratterizzasse di dibattiti sul programma e non di scontri verso questo o quel candidato o
verso questo o quel “supposto” sostenitore; dell’uno o dell’altro schieramento. Mi sbagliavo e
sperando di arrestare una deriva, scrissi che al portavoce della lista di Irene (vista da Caruso) era
“saltata la lampo delle riflessione” per avermi coinvolto in “maneggi elettorali” dai quali sono distante
anni luce. Espressione di stile per dire, con parole garbate, che consideravo certe esternazioni come
“cazzate in libertà”. Ma non si sono fermate e non era solo. Il sindaco uscente Rosario Caruso in un
post di domenica 5 (pur avendo letto il mio pezzo) ha scritto che Cesare Mattera ha dovuto “chiudere
un accordo” con Luigi Iacono che aveva definito il peggior sindaco della storia di Serrara “e uno con
Vincenzo Acunto” (ndr io) che aveva sempre criticato la sua azione amministrativa. In sintesi,
confermava quanto blaterato dal suo portavoce che ha disegnato un incomprensibile groviglio di
interessi tra me, Luigi Iacono e l’ex comandante dei vigili di Serrara Giuseppe Mattera (raustella) la cui
figlia Filomena (brava infermiera al Rizzoli e molto apprezzata nella comunità) si è candidata con
Cesare Mattera. Interessi che, a dire del propalatore, sarebbero tesi a far fuori Cesare Mattera dopo

averlo illuso di un appoggio elettorale. Considerazioni da manicomio, inventate e dette senza rispetto
della/e persone. In virtù di ciò, per quegli oscuri percorsi della mente, mi è tornato il ricordo del
contadino foriano e della sua espressione che meglio qualifica certe uscite in libertà, false,
sgrammaticate, volgari e prive di logica. Non ho alcuna necessità di smentire o riprendere quanto già
scritto nelle settimane passate e degli incontri avuti (su richiesta) con i protagonisti di entrambi gli
schieramenti che ho anche ringraziato sia per la considerazione dimostratami che per non avermi
rivolto inviti alla candidatura. Che avrei potuto fare di più? Ho la netta percezione che l’atteggiamento
del portavoce di “Irene vista da Caruso”, danneggia in modo grave (come già è successo altrove) le
persone che ritiene di voler sostenere. Penso che Irene Iacono e Rosario Caruso farebbero bene a
fermare l’invadenza, deleteria, dell’autoproclamatosi loro portavoce. Non ne hanno bisogno, lo
possono assumere poi (!!) in caso di vittoria. Hanno saputo esporre, e mi son piaciuti tanto, in modo
pacato e sobrio la loro lista e le cose fatte. Spero che con la stessa sobrietà e pacatezza sapranno
esporre anche le cose non fatte (nei 10 anni precedenti) e dell’arrembaggio, senza limiti, che patisce
S.Angelo rimasta vittima di problematiche gravissime che la schiacciano e la annullano nel panorama
turistico internazionale. Hanno saputo emozionarmi lasciando ben manifestata l’attenzione che la
famiglia Caruso inonda verso il loro candidato sindaco, cingendola di affetto e, con il marito da un lato
e la moglie dall’altro non solo hanno confermato il mio “slang” “Irene vista da Caruso” ma lo hanno
arricchito potendo diventare “Irene vista da Caruso e moglie”. Un bravo ‘affascinante Irene se lo
merita anche per aver contenuto il deleterio tentativo dell’autonominatosi portavoce, di voler
polemizzare a tutti i costi con qualcuno che non c’era. Invece dall’altro lato Cesare Mattera, con il
quale non ho mai “chiuso accordi elettorali” (che, per certo, so che non avrebbe onorato), si mostra
più furbo del solito e se ne sta cheto/cheto lasciando che gli altri facciano e dicano. Conscio com’è, per
esperienza contadina, che il “vucculiare” non porta benefici!

acuntovi@libero.it

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