LA RETE E I SUOI GROVIGLI. DI ARCANGELO MONACILIUNI

Dopo aver finito di leggere “Candido” di Guido Maria Brera, storia di un rider che, proveniente dai “quartieri esclusi” della città, pedala incessantemente per consegnare vivande, storia del suo innamoramento di Cunegonda, la ragazza virtuale che gli è stata assegnata dalla piattaforma Voltaire, delle sue illusioni e dei suoi disincanti fra mondo virtuale e mondo reale, delle subdole alienazioni legate ai tempi che viviamo, sono andato a rileggere “Le menzogne del Web. Internet ed il lato sbagliato dell’informazione” di Charles Seife. Testo, quest’ultimo, definito dal New York Times: “un talismano per i creduloni che sperano di non essere presi in giro” dalla rete, della quale il libro svela gli arcana raccontando delle manipolazioni per costruire il consenso.
Consenso che ormai si regge molto poco sui contenuti e molto invece sulla capacità di far passare il messaggio, sull’arte di definire gli algoritmi adatti alla bisogna attraverso quella che è divenuta una vera e propria disciplina scientifica: Ottimizzazione per i motori di ricerca (Search Engine Optimization, in acronimo SEO).
Entrambi i testi sono dissacranti e, nel contempo, profondi e di scorrevole lettura. Seguire Candido nel fluire della sua vita fra reale e virtuale ed apprendere di talune colossali bufale costruite in rete è istruttivo, molto.
Esaurita la (ri)lettura del secondo testo sono andato a sfogliare un mio scritto “E’ la dose che fa il veleno” (titolo tratto dal detto di Paracelso: “Nulla è di per sé veleno, tutto è di per sé veleno, è la dose che fa il veleno”), risalente al marzo del 2019, ossia ad un anno dal mio ingresso nel mondo dei social. Mi è venuto naturale farlo per verificare se le odierne letture e l’esperienza maturata in questi due anni confermassero o meno le mie prime riflessioni intorno a questo mondo per me nuovo, intorno a quella rete entro la quale il mio spirito inquieto aveva deciso di immettersi, memore che la parola “rete” appartiene al linguaggio simbolico dei Vangeli ed ivi da Cristo è usata come metafora della capacità di porre in relazione comunicativa tutti gli uomini e tutti i popoli della terra.
Dal tagliando effettuato è emersa la conferma che sono le dosi massicce a poter rendere la rete ed i social velenosi, nel mentre può contribuire ad un loro sano utilizzo una dosaggio equilibrato ed un approccio “critico”, un viverli senza divenirne schiavi con un sano scetticismo, nella consapevolezza che a fronte del pregio dell’immediatezza va messo in conto il sacrificio della riflessione.
Acuire le capacità individuali di discernimento fra la marea di informazioni/opinioni, dotarsi di filtri mentali, è indispensabile per non esser travolti, per (tentare di) distinguere il vero dal falso, per (tentare di) non lasciarsi irretire. Facile non è. Da tempo ormai si è compreso, e non solo da chi detiene il potere, che celare la notizia non è possibile: in un mondo globalizzato verrà fuori comunque. E si è quindi compreso che il dominio su di essa risiede nella capacità di gestirne la comunicazione: il come darla, l’impacchettarla fra altre, il mutarne il senso a mezzo di un’adeguata collocazione, lo “sloganizzarla” (brutto termine che l’Accademia della Crusca certo non approverebbe) veicolandola attraverso i media, gli influencer, i politici, di riferimento.
Con l’avvento di internet è stata portata a termine una vera e propria rivoluzione del/nel mondo della comunicazione. Le odierne capacità di trasmissibilità e persistenza senza limiti di ogni dato (testi, immagini, scambi) in un mondo interconnesso consentono l’eliminazione di ogni barriera, danno vita ad un contagio potenzialmente universale ed aprono scenari non tutti ipotizzabili.
Taluni tratti che forse avevo sottovalutato, ammaliato dal mondo nuovo che si era aperto al neofita, oggi mi si mostrano con maggiore visibilità.
Ma questo viene in appresso. In via immediata, focalizzando il discorso in particolare sui social e, fra questi, su facebook, resta, è restata, immutata la percezione che “Ad un tratto, quasi per incanto, il mio mondo relazionale si è espanso, in esso oggi ricompresi gli amici/conoscenti attuali, nella vita reale ed in quella c. detta virtuale, i nuovi amici solo virtuali ed i molti riemersi dal passato”. E all’interrogativo “Devo credere che le mie relazioni in rete restino confinate in una sorta di etereo mondo parallelo, virtuale, senza mai (poter) scendere sulla terra e qui incrociarsi, intersecarsi in un gioco di rimandi fra i due mondi?” resta immutata la risposta: “Io non credo; io non credo possa esservi cesura nelle sensazioni, nelle emozioni, negli scambi relazionali: che abbiano inizio qui o lì, ovvero nella vita reale o sui social, che si snodino in concreto qui o lì, ovvero qui e lì in un continuum di divenire. Gli scambi che ho in rete, e questo io credo valga per tutti, si proiettano al di fuori di essa, intersecano le azioni concrete e contribuiscono a determinare i comportamenti. Essi sono quindi ben reali. Né diversamente potrebbe essere ….”.
I social rappresentano un’immensa agorà che può non aver confini, ma, proprio perché tale, ognuno in essa può trovare il modo di ritagliarsi i suoi spazi, di crearsi un personale “Speakers Corner”, con un numero indefinito di spettatori: in teoria, il mondo intero.
Questo dicevo ieri e questo riaffermo oggi. Ed invero, in sé considerato, lo strumento, ad ampio spettro cromatico, è neutro, così prestandosi ai singoli utilizzi che ciascun “utente” vuol farne, ne fa.
Ciò fermo, devo invece oggi attenuare la mia critica alle riflessioni di Umberto Eco sulle legioni di imbecilli che popolano i social, che prima avrebbero taciuto o parlato solo nei bar, ove sarebbero stati zittiti. Scrissi due anni fa che la conclusione di Eco “per quel che vale il mio pensiero, ha/sa troppo di elitario”.
Per vero -ferma la fruttuosità di angoli individuali e/o di specifici gruppi, al cui interno sia dato un colloquio sereno, in ispecie, come pur accade, se piacevole e vivace- ho oggi acquisito maggiore consapevolezza che la democrazia digitale, che sostanziava la mia critica, disvela molti suoi limiti, che in effetti vi sono legioni di individui che si limitano a seguire slogan, il politico, l’affabulatore di riferimento. Limiti che Gustave le Bon, nel suo celebre “Psicologia delle folle”, riassunse nella legge “dell’unità mentale delle folle”, in forza della quale “nell’anima collettiva le attitudini intellettuali degli individui si azzerano; l’individuo, nella folla, acquisisce, per il solo fatto del numero, una sensazione di potenza e invincibilità che gli permette di cedere ai propri istinti, che, se fosse stato da solo, avrebbe dovuto frenare…. Dal solo fatto di essere parte di una folla, un uomo discende di generazioni su una scala di civiltà”.
A ben vedere, mutatis mutandis ed allargato a dismisura il campo, ritorna sempre l’antico brocardo: “Senatores probi viri, senatus mala bestia”.
Ciò fermo, fermi i limiti, resto comunque convinto che non si debba menar scandalo per l’accesso universale allo strumento, nel mentre occorre certamente dolersi del dato che a seguire le maree, senza alcuna capacità critica, non di rado appaiono essere proprio i “sensati del villaggio” globale, o coloro che tali avrebbero a dover essere.
Ed invero, capita con troppa frequenza constatare che maitre a penser, influencer, o aspiranti tali, sproloquino, o addirittura turpiloquino, e tanto facciano senza essersi presi prima la briga di informarsi, di aver nozione diretta del fatto, dell’atto (in un attimo, con un click rinvenibile sul web) che pure disinvoltamente commentano dall’alto della loro sicumera, seguendo le proprie collocazioni ideologiche, partitiche et similia.
E constatare è dato che le immense capacità della rete, la possibilità che essa offre di accedere istantaneamente alle fonti, di ascoltare opinioni diverse dalle nostre, non vengono sfruttate, per restarsi invece “confinati” nei propri mondi, per non accettare i “diversi”, coloro che osino insinuare dubbi nelle granitiche certezze di cui si fa mostra e che pretendono solo like, in un dialogo fra sordi, che tale nasce, tale vive e tale morrà: per consunzione o per altro.
Altro frutto del tagliando è stato quello di dover ammettere la fondatezza della preoccupazione per le giovani generazioni (per vero anche per molti componenti le meno giovani, ma per questi non so se possano esservi rimedi esperibili) che non hanno, non han potuto, maturare un minimo di esperienza che permetta loro di non farsi fagocitare nel/dal mondo della realtà parallela. Il tempo trascorso e la maggiore esperienza acquisita mi han reso maggiormente consapevole dell’evidenza del dato, di una possibile confusione atta a condurre ad identificare la realtà solo, o soprattutto, con quella virtuale. E che ciò accada per un deficit di esperienza o forsanche per paura di relazioni vere non può che convenirsi con chi paventa che si corre il serio rischio di trasformare un formidabile strumento comunicativo in un’arma di isolamento di massa.
Son queste, tutte queste, preoccupazioni fondate, molto.
Nondimeno, i meriti, i vantaggi della rete, sono innegabili e sotto gli occhi di tutti, a partire dal suo essere agorà, mercato; dal suo essere, con tutte le riserve e prudenze del caso, luogo che consente scambi di conoscenza e di emozioni, per quanti filtri sian necessari; dal suo essere luogo di commerci di cose materiali, di una più produttiva gestione della propria professionalità con utilizzo di avanzate tecniche di marketing, nonché del proprio tempo libero, dei propri otia.
Resta infatti il dato che i social raggiungono pressocchè ogni luogo della terra, consentono a tutti gli uomini di sentirsi parte di un unico mondo, di creare reti per comprendere, per sottrarsi al dominio di poteri assoluti, quali ancor oggi presenti sulla terra, nonché per creare reti di solidarietà attiva ed efficace.
E resta innegabile che sui social si snoda, vien raccontata e vissuta la vita delle comunità, nelle sue diverse fasi. I politici dialogano con i loro seguaci, gli amministratori con gli amministrati. E’ un dato reale che viviamo l’era della “social media governance”: con le intuibili, enormi, implicazioni che ciò comporta il twitt ha sostituito l’ukaze.
E, ancora, piaccia o non piaccia, pesa la realtà ed il suo cammino verso forme di intelligenza artificiale con tutto quanto ve ne è legato, potenzialmente anche di disumano.
“L’algoritmo non si pone dilemmi morali” si legge in Candido, ma, per fortuna, per mia fortuna, il Candido che è in me può ancora esser rassicurato con “Per adesso, caro Candido, ci sono più cose in cielo e in terra di quante l’algoritmo possa solo immaginare”.

di Arcangelo Monaciliuni

Costituzionalista

già Magistrato T.A.R. Campania

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