Per qualcuno il potere è un “affare di famiglia”. Giuseppe Caifa si era impegnato con Anna, sommo sacerdote, sposandone la figlia. Aveva poi ereditato lo scranno, diventando a sua volta sommo sacerdote quando questi venne deposto dal procuratore romano dell’epoca. Opportunista, acrobata del potere, conosceva bene i bassifondi in cui la sua carriera doveva navigare. Sulla carta doveva figurare come uno dei simboli dell’identità ebraica. In realtà non disdegnava di flirtare con le truppe di occupazione che governavano quel mondo assolutamente ingovernabile che era l’ultima frontiera dell’impero Romano. Sempre sorridente, come solo gli ipocriti riescono a sorridere, mai issato su una barricata per difendere l’autonomia del suo popolo. Intratteneva rapporti cordiali con i procuratori romani, fedele alla politica del “do ut des”. Il favore del suo silenzio, reso in tante situazioni che avrebbero reclamato invece un suo intervento, si trasformava in qualche agevolazione da chiedere al tempo opportuno. La condanna di Gesù, estorta al governatore Ponzio Pilato pur in assenza di un evidente reato, ben si inscrive in questo quadro di ambiguità e di scaltrezza nel quale Caifa dimostrava eccellere. La storia ha voluto che fosse lui a far da regista all’arresto di Gesù e alla Sua condanna in una guerra di sguardi che s’incrociano a distanza. Gesù è un sassolino perennemente dolorante nelle calzature, un fastidio ricorrente che giustifica le frequenti indagini a cui Gesù viene sottoposto. La condanna è stata emessa parecchio tempo prima del processo finale. Caifa, da buon burattinaio, muove le sue pedine fino allo scacco finale. Governare significa tessere con pazienza trame di reti sempre più fitte in quel decisionismo a rallentatore che è sempre una buona qualifica per svolgere il mestiere di capo. Il sommo sacerdote se ne esce con una conclusione da real politik, trattare Gesù come un qualcosa che si deve sacrificare sull’altare dell’ opportunismo perché le cose continuino a perpetuarsi e ad andare avanti come sono sempre state. Oggi come allora, personaggiucoli di dubbio spessore politico amministrativo e professionale aleggiano incontrastati tra le stanze dei nostri Sistemi politici, sicuri e certi di stare ben saldamente ovattati nelle loro botti di ferro, sotto la super visione di abili registi, burattinai, dalle poche parole. Si parla di accordo e di patti tra aspiranti sindaci e sindaco del Comune di Ischia ed è strano che un aspirante sindaco stringa accordo con una sua controparte. Ma non si parla di progetti concreti volti alla salvaguardia dei Beni ambientali, alla tutela dell’imprenditoria locale. Non si parla di dare possibilità agli imprenditori, messi invece in ginocchio e grazie a cui molte famiglie hanno possibilità di lavoro. Nessuno accenna alla Pagoda, una pineta che è una autentica cartolina ma che il nostro sindaco vuole trasformare in parcheggio gettando poi fumo negli occhi con melliflui progetti. Si è sempre saputo che la massa, il popolo, è facilmente influenzabile. Il mio sincero auspicio per la Pasqua 2021 è che il popolo d’Ischia abbia il coraggio di risorgere e riprendersi la DIGNITÀ per difendere con coraggio e responsabilità i propri luoghi. Il richiamo fondamentale è di essere compatti ed uniti nell’unico obiettivo di mandare via chi usa lo strapotere per il proprio personale tornaconto. Il potere è dentro le urne. “Talitha Kum”.
Di Antimo Puca