ROMA LOCUTA EST, CAUSA FINITA EST. DI ARCANGELO MONACILIUNI

La sentenza della Corte Costituzionale sul riparto dei poteri in era Coronavirus è stata depositata: è la n. 37 del 2021. Il giudice delle leggi ha operato una ricostruzione del sistema che dovrebbe -e sottolineo il dovrebbe, poiché nulla è scontato nel Bel Paese- por termine a fughe provvedimentali in avanti da parte di Governatori e/o Sindaci ed a diverse letture del quadro normativo da parte di dottrina e giurisprudenza.

In primo luogo sono inequivoche le statuizioni sulla riconducibilità allo Stato della gestione unitaria dell’epidemia in applicazione dell’art. 117 Cost. “Venendo al merito del ricorso, deve ribadirsi quanto già deciso nella fase cautelare, ovvero che la materia oggetto dell’intervento legislativo regionale ricade nella competenza legislativa esclusiva dello Stato a titolo di «profilassi internazionale» (art. 117, secondo comma, lettera q, Cost.), che è comprensiva di ogni misura atta a contrastare una pandemia sanitaria in corso, ovvero a prevenirla. La malattia da COVID-19, infatti, è notoriamente presente in tutto il mondo, al punto che fin dal 30 gennaio 2020 l’Organizzazione mondiale della sanità ha dichiarato l’emergenza di sanità pubblica di rilievo internazionale, profondendo in seguito raccomandazioni dirette alle autorità politiche e sanitarie degli Stati. Questa Corte ha già ritenuto che la profilassi internazionale concerne norme che garantiscano «uniformità anche nell’attuazione, in ambito nazionale, di programmi elaborati in sede internazionale e sovranazionale» (sentenza n. 5 del 2018; in precedenza, sentenze n. 270 del 2016, n. 173 del 2014, n. 406 del 2005 e n. 12 del 2004). Del resto, è ovvio che ogni decisione di aggravamento o allentamento delle misure di restrizione ricade sulla capacità di trasmissione della malattia oltre le frontiere nazionali, coinvolgendo così profili di collaborazione e confronto tra Stati, confinanti o meno……”
Ma questo era scontato, se sol si fosse dedicato un minimo di tempo alla lettura della giurisprudenza della Corte.
Altrettanto scontato avrebbe dovuto essere -e di certo non lo è stato- l’escludere che la sussistenza di potestà proprie, autonome, sempre in tema di gestione dell’epidemia, potesse trovare fonte nella legislazione ordinaria, in primis dall’art. 32 della l. 833 del 78, come invece avvenuto.
Non resta che confidare che, da oggi in avanti, si faccia “tesoro” delle ulteriori statuizioni del giudice delle leggi, a mente delle quali “…. Fin dall’art. 32 della legge n. 833 del 1978, si è stabilito che il potere di adottare ordinanze contingibili e urgenti in materia di igiene e sanità pubblica spetti a Regioni ed enti locali, esclusivamente laddove l’efficacia di tali atti possa essere garantita da questo livello di governo, posto che compete invece al Ministro della salute provvedere quando sia necessario disciplinare l’emergenza sull’intero territorio nazionale o su parti di esso comprendenti più Regioni.
Che con tale previsione il legislatore non abbia inteso riferirsi all’ovvio limite territoriale di tutti gli atti assunti in sede decentrata, ma, piuttosto, alla natura della crisi sanitaria da risolvere, viene poi confermato dall’art. 117 del d.lgs. n. 112 del 1998, che modula tra Comune, Regione e Stato gli interventi emergenziali nella materia qui coinvolta, a seconda «della dimensione dell’emergenza e dell’eventuale interessamento di più ambiti territoriali regionali». Tale disciplina ha poi trovato conferma nell’art. 50, comma 5, del decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267 (Testo unico delle leggi sull’ordinamento degli enti locali)…….”.
Ed ora, per quanto vanesio io abbia a sembrare o ad essere, mi sia comunque concesso rammentare il mio “heri dicebo”. Lo faccio perché dall’inizio della pandemia ho sostenuto, fortemente sostenuto, queste tesi con una serie di scritti, vox clamans in deserto, o quasi, ed ora sono sinceramente gratificato dalle parole della Consulta.
Fra le tante mie considerazioni dispiegate, tutte lì, consegnate alla “carta”, alla “rete”:
“….In definitiva, una volta proclamato lo stato di emergenza nazionale, la potestà di esercizio dei poteri extra ordinem, vieppiù se, come qui accade, incisivi dei diritti fondamentali sottoposti a riserva di legge assoluta, non appare poter risiedere in capo alle singole Regioni. Lo impone il dettato costituzionale e la normazione primaria e lo impone, oltre che una piana interpretazione sistematica dello ius positum, la ratio che vi è sottesa. Se l’emergenza è nazionale la sede propria, unica, dell’alto comando per “sconfiggere il nemico” non può che essere quella nazionale…. (Il Potere di ordinanza in era coronavirus, in Calamusiuris Lapennadeldiritto del 24 marzo 2020) e, omisso medio,:
“…. Ovvero io non credo che l’art. 32 della l. n. 833 del 1978, l’art. 50 del d.l.vo n. 267 del 2000, o l’art. 117 del d.l.vo n. 112 del 1998 possano essere validamente invocati a supporto dell’esercizio del potere locale (anche) in materia di gestione dell’emergenza da coronavirus.
A mio modo di vedere, ai livelli regionali e comunali è inibito il discostarsi dalla normativa speciale emergenziale, dettata per contrastare/contenere in maniera unitaria sull’intero territorio nazionale l’epidemia da coronavirus: unitaria che non significa affatto identica, ma solo scaturente, per li rami, dalla strategia che -per essere efficiente ed efficace, posto che tutto chiuder non si puote- non può che esser partorita dal livello “più alto”, con quanta previa partecipazione necessaria dei livelli “più bassi”.
Il che a dire che non è loro (a Regione e a Sindaci) precluso di poter/dover emanare quante ordinanze contingibili ed urgenti si rendessero necessarie: ma non riferibili alla “gestione” della epidemia da coronavirus, ma a quante altre, diverse, “emergenze sanitarie o di igiene pubblica a carattere esclusivamente locale” avessero ad interessare specifici territori locali.
In questi sensi e in tali limiti i poteri locali persistono tutti, ma solo in questi sensi e limiti, di guisa che io trovo del tutto impropri e fuorvianti i richiami alle citate norme “ordinarie” nei provvedimenti di Regioni e Comuni che si occupano di misure relative all’epidemia da coronavirus. Ed invero, in relazione a queste, Regioni e Comuni hanno lo spazio potestativo che è loro assegnato dalla legislazione emergenziale, e non altro. Lo ius emergenziale non rappresenta un microordinamento da calarsi in un più vasto macroordinamento. Esso ha in sé solo capacità, forza e durezza giuridica per excludere alia: di certo, sempre ed ancora a mio avviso, un potere di ordinanza contrapposto, vieppiù se in aperto e plateale “dispregio” di regole, quali quelle afferenti la scuola, specifiche, dettagliate, poste dal dictator.”. (“La tutela giurisdizionale in era Coronavirus” sulla rivista Calamusiuris Lapennadeldiritto del 19 novembre 2020).
Beh, non mi resta altro da aggiungere se non che spero di non dover più riprendere “la penna” per riparlarne/riscriverne.

di Arcangelo Monaciliuni

già Magistrato T.A.R. Campania

Costituzionalista

 

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