Associazioni pazienti, ‘accesso a tecnologia salvavita frenato da Covid’

Milano, 12 ott. (Adnkronos Salute) – Pacemaker, defibrillatori, valvole cardiache, sistemi per stimolazione cerebrale e dolore cronico, soluzioni terapeutiche per disfunzioni urogenitali, crioablazione per i tumori. Sono milioni le vite legate a un dispositivo medico. E come uno tsunami l’emergenza Covid-19 ha travolto tutto, ostacolando anche l’accesso alle tecnologie salvavita. Visite e controlli posticipati, interventi programmati da tempo cancellati, e oggi si lotta per la riconquista della normalità. Lo testimoniano le associazioni pazienti che raccontano delle difficoltà che hanno affrontato per tutelare i diritti dei malati in tempi di pandemia.

Occasione per fare il punto la ‘Medtech Week’, in corso da oggi, lunedì 12 ottobre, fino a venerdì 16. In tutta Europa si parlerà di tecnologie biomedicali, dell’accelerazione che hanno contribuito a dare all’evoluzione della medicina, del valore aggiunto che portano nelle vite di malati e caregiver. E si parlerà anche delle criticità portate da Covid-19. Come l’impossibilità per i pazienti cardiopatici di fare le visite di controllo, fa notare l’Associazione italiana scompensati cardiaci (Aisc). E’ una delle categorie di malati che ha sofferto di più: secondo la Società italiana di cardiologia il tasso di mortalità per infarto in Italia è passato quest’anno dal 4,1% al 13,7%, mentre i ricoveri per scompenso cardiaco sono calati del 47% rispetto allo stesso periodo dello scorso anno e quelli per fibrillazione atriale di oltre il 53%.

Secondo una survey dell’Associazione italiana di aritmologia e cardiostimolazione (Aiac) a cui hanno aderito 104 clinici di 84 strutture ospedaliere, nel periodo aprile-maggio 2020 c’è stata una generalizzata diminuzione (intorno al 50%) degli impianti di pacemaker, defibrillatori e nelle ablazioni cardiache. Calo quantificabile in circa 2.200 impianti in meno di dispositivi cardiaci impiantabili e circa 960 ablazioni cardiache in meno.

A far comprendere meglio l’impatto del problema sono i numeri dei pazienti: oggi convivono con lo scompenso cardiaco 14 milioni di persone in Europa e più di 1 milione in Italia. La patologia registra ogni anno l’insorgenza di 20 nuovi casi ogni 1.000 individui tra 65 e 69 anni e più di 80 casi ogni 1.000 tra gli over 85, è la causa più comune di ricovero tra gli ultra 65enni e si stima che, entro il 2020, rappresenterà la terza causa di decessi nel mondo.

Covid-19 ha complicato le vite anche di molti altri pazienti, per esempio chi convive con un tumore della prostata (solo nel 2019 ci sono state 37mila nuove diagnosi). Francesco Diomede, presidente Fincopp (Federazione italiana incontinenti e disfunzioni del pavimento pelvico), racconta come siano stati penalizzati i malati che si sono visti rinviare visite urologiche o riabilitative. A creare difficoltà anche le ‘ristrutturazioni’ di interi reparti, spesso trasferiti o non più disponibili per via delle emergenze ospedaliere (come al Policlinico Bari, città sede della associazione). Diomede ricorda l’impatto di problematiche come l’incontinenza e la disfunzione erettile, correlate al tumore alla prostata, e le possibilità offerte da presidi biomedicali, “per contro penalizzati da un’inadeguata politica di rimborsi da parte delle Regioni e da lunghe liste di attesa, ancora più problematiche nella pandemia”.

Tornando al ‘peso’ della pandemia sul cuore, secondo il consigliere delegato Aisc Rosaria di Somma, questa ha fatto emergere “la grande ‘fragilità’ dell’anziano, in particolare se affetto da malattie croniche, tra cui scompenso. Alla gravita dello stato di ‘paziente scompensato’ si sono aggiunti fattori di ansia, paura dell’ospedale, incertezza per il futuro. Ci siamo attivati per la ricerca di soluzioni per essere di aiuto ai nostri pazienti. L’associazione ha fatto rete con altre. Ci siamo fatti portavoce di tante iniziative messe in campo dal settore privato tra cui ‘i farmaci a casa’, o come ‘#Iorestoacasa con Heartlogic'”, attivata da Boston Scientific appena decretato il lockdown e la chiusura degli ambulatori, “con i pazienti portatori di devices che si sono attivati presso i propri centri di cura per il controllo a distanza dei propri dispositivi e del proprio stato di salute”.

Ed è proprio sull’assistenza a distanza che l’Aisc con altre 15 organizzazioni, ha avanzato “una proposta di ‘modifica strutturale’ del sistema sanitario nazionale che ha mostrato la sua vulnerabilità nei momenti emergenziali”, evidenzia di Somma. “E’ stato chiesto al premier Conte e al ministro Speranza di avviare un nuovo percorso di sanità basato sulla telemedicina, quale modello nazionale di assistenza domiciliare. Esempi di eccellenza sono già registrati a livello locale, come il progetto portato avanti dall’Asl di Latina proprio durante la fase Covid”.

Ugualmente problematica la situazione Covid 19 evidenziata da Alice Italia, federazione delle associazioni per la lotta all’ictus cerebrale, che ha visto molti pazienti colpiti da ictus “arrivare in ospedale troppo tardi, o scegliere di non rivolgersi a una struttura ospedaliera per timore” del contagio. “Abbiamo intensificato la nostra attività. Oltre alla necessità di ampliare il numero delle Stroke Unit, insufficienti, stiamo rilanciando una campagna educativa per il riconoscimento dei sintomi”, spiega Nicoletta Reale, presidente della federazione. La patologia è la seconda causa di morte nel mondo. La sola Italia conta ogni anno 120mila ictus e, quanto ai costi per il Ssn, le stime parlano di 16 miliardi l’anno, cui si aggiungono costi sociali per circa 5 mld.

Anche su questo fronte la tecnologia ha un “grande valore”, dice Reale, da WhatsApp, che ha consentito ai pazienti di mantenere un dialogo col medico, a soluzioni digitali connesse ai dispositivi medici. Le potenzialità sono tante e arrivano ad abbracciare dalla riabilitazione ai supporti psicologici. Senza dimenticare il contributo dell’innovazione anche sul fronte della prevenzione dell’ictus. “E’ stato un periodo di grandi difficoltà e sofferenze anche per migliaia di pazienti parkinsoniani”, commenta Giangi Milesi, presidente Confederazione Parkinson Italia. Confinamento, solitudine, mancanza di attività fisica. Il lockdown ha reso problematica l’aderenza a terapie farmacologiche, bloccato i supporti infermieristici, portato al rinvio di visite neurologiche programmate, azzerato le sedute di fisioterapia. L’aiuto “è venuto soprattutto dalle tecnologie”, conferma Milesi che cita il progetto ‘Parkinson Care’ per offrire servizi infermieristici telefonici.

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