Corbetta (Obe): “Imprese e brand devono indicare via del cambiamento”

Roma, 30 giu. (Adnkronos) – Da semplici marchi ad attori capaci di indirizzare politiche globali per un nuovo patto sociale. È questo il futuro delle imprese secondo Laura Corbetta, presidente di Obe, l’organismo che studia e promuove la diffusione sul mercato italiano del ‘branded content & entertainment’ come leva strategica per la comunicazione. A Milano, l’occasione per una riflessione è offerta dall’Obe Summit 2020.

“In un panorama in cui la politica è in crisi, la scuola è in crisi, quelli che erano gli istituti di socializzazione sono in crisi, i più giovani – spiega Corbetta all’Adnkronos- guardano anche ai marchi in senso di ispirazione. Ecco io credo che i brand debbano essere in grado di ispirare, moltissimo, e in qualche modo segnare delle direttrici per il futuro e contribuire a un cambiamento. È interessante – sottolinea l’esperta – quello che è emerso durante la pandemia: come dice Bill Gates, va bene il capitalismo ma se non ci fossero stati i governi, gli Stati in questo momento sulla sanità, sulla scuola, sulle infrastrutture chiaramente il capitalismo non ce l’avrebbe fatta”.

“Quindi io penso che in realtà oggi bisognerebbe andare verso un nuovo patto che sia quello di essere più convergenti tutti in una direzione che mette al centro il benessere comune”, aggiunge.

E su questo le imprese possono avere un impatto determinante. “È chiaro – dice Corbetta – che quando i brand riducono le loro emissioni di carbonio in produzione o cambiano le loro regole sulla plastica o definiscono nuove modalità per il riciclo e lo smaltimento, muovono volumi talmente significativi che fanno la differenza”.

Scelte che pesano sempre di più sulla preferenza che i consumatori decidono di accordare o meno a un brand. “Noi abbiamo dati su tutta la generazione Z e sulla generazione dei millenials che in realtà sempre di più – rileva la presidente Obe – comprano il prodotto in relazione a come il brand si comporta non tanto per la qualità intrinseca del prodotto. Oggi sempre più centrale è il tema della verità, dell’autenticità. È molto importante che quando un brand comunica qualcosa lo faccia con coerenza rispetto a target che sono molto diversi”.

“Esiste il target dei consumatori ma poi c’è un target dei propri dipendenti che è centrale e ci sono brand che magari – sottolinea Corbetta – nella comunicazione esterna sono fortissimi a raccontare un certo tipo di posizionamento, pensiamo ad Amazon sul tema dei servizi o della qualità dei servizi, dopo di che quando vai a vedere la realtà dei loro dipendenti vedi che è molto critica. Quindi il vero tema è che oggi i brand devono essre veri, consistenti e rilevanti e sempre di più questa rilevanza si gioca su temi ambientali e sociali”.

In questo quadro, secondo Corbetta, assume un’importanza cruciale il ‘branded entertainment’, ovvero lo strumento di comunicazione attraverso il quale un’azienda racconta chi è, qual è il suo punto di vista sulla realtà, il suo ruolo nella società, ancor prima di dirti cosa ti offre.

“Si tratta di contenuti realizzati con l’obiettivo di raccontare principalmente la parte più intangibile, in narrazioni che possano in qualche modo appassionare chi le guarda e che prescinde anche dalla forma breve dello spot ma magari assume forme più lunghe”, afferma. E in un certo senso sono sempre esistite. Esempi ne sono “le guide Michelin che nascono negli anni ’40, le soap fatte negli anni ’30 da tutti i grandi brand di detersivi nel mercato americano. Nella declinazione contemporanea possono essere dei programmi televisivi, delle narrazioni video che hanno la caratteristica di serialità o una durata maggiore di uno spot”.

“Insomma – spiega ancora Corbetta – è il modo in cui il marchio stabilisce una connessione con i suoi interlocutori attraverso il linguaggio dell’infoteinment per raccontare storie lì dove la storia diventa l’unità di narrazione anche di un progetto commerciale”. A differenza dello spot che irrompe e interrompe un qualcosa che si stava seguendo, “il branded entertainment ha la caratteristica di attrarre e creare empatia e interesse nel consumatore e quindi diventare in qualche modo un prodotto che fruisci nella sua complessità: ti guardo perché mi interessa quello che mi stai raccontando”.

Un tipo di comunicazione che funziona anche sul web adattandosi di volta in volta al canale al quale è destinata. “Per esempio Prada ha fatto un bellissimo lavoro con National Geographic producendo delle storie Instagram, oppure tanti brand utilizzando molto gli influencer hanno lavorato nel creare delle serialità anche per YouTube. Nell’ambito di un feed Facebook può essere una narrazione”, sottolinea.

“O ad esempio – ricorda la presidente di Obe – San Pellegrino negli anni ha creato un magazine di grandissima rilevanza come ‘Fine dining lovers’ che è un vero e proprio prodotto di brand entertainment. Insomma le modalità sul web differiscono moltissimo anche in base alle caratteristiche strategiche di comunicazione, marketing o business che il brand ha come obiettivi”.

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