AICOM NEWS A CURA DEL VICEPRESIDENTE MARCO LARASPATA

Spese registrazione sentenza e azione regresso.
Che fare se la parte soccombente, che ha perso la causa, non registra la sentenza: dopo la lettera dell’Agenzia delle entrate e il versamento dell’imposta di registro si può chiedere il rimborso delle somme.

Un paio di anni fa hai vinto una causa. La sentenza ti ha dato ragione sotto ogni profilo e ha condannato l’avversario a rimborsarti le spese legali sostenute, compresa la parcella dell’avvocato.

Oggi però ti arriva una raccomandata dell’Agenzia delle Entrate con cui ti viene chiesto il pagamento dell’imposta di registro. Cadi dalle nuvole poiché ritenevi che, con la soccombenza, anche le imposte fossero a carico della controparte. Perché invece quest’ultima non ha pagato e come mai ora il fisco si rivolge a te? Preoccupato chiedi consiglio al tuo avvocato il quale ti spiega come stanno le cose. Parafrasando la terminologia tecnica che potrebbe usare un professionista, qui di seguito ti spiegheremo come stanno le cose, come funzionano le spese di registrazione della sentenza e l’azione di regresso.

Cosa succede quando esce la sentenza?

Non appena esce la sentenza, al termine della causa, bisogna pagare l’imposta di registro. L’imposta, per quanto unica, grava su tutte le parti. Significa che obbligati a pagare l’importo, almeno nei confronti del fisco, sono tutti i soggetti che hanno partecipato al giudizio, anche coloro che non si sono costituiti (ossia in caso di Contumacia).

Di norma, la parte che perde viene condannata a pagare le spese processuali. È la cosiddetta regola della soccombenza. Eccezionalmente, e solo per ragioni predeterminate dalla legge, il giudice può disporre la compensazione delle spese processuali. La condanna alle spese viene pronunciata dal giudice con la sentenza definitiva e obbliga la parte soccombente a rifondere all’avversario i costi della causa, pagando tutti i costi del giudizio (bolli, notifiche, consulenti, ecc.). Essa copre anche il versamento dell’imposta di registro: in pratica, chi perde la causa e viene condannato alle spese legali deve anche registrare la sentenza.

Questa regola, tuttavia, vale solo nei rapporti personali tra le parti e non nei confronti dell’erario. In pratica, per il fisco – o meglio, l’Agenzia delle Entrate – tutti i soggetti che hanno preso parte alla causa sono responsabili in solido del pagamento dell’imposta.

Imposta di registro: che significa responsabilità solidale?

«Responsabili in solido» significa che il creditore – in questo caso l’Agenzia delle Entrate – può rivolgere la propria pretesa indifferentemente all’uno o all’altro soggetto, oppure a tutti quanti.

Chiaramente, poiché l’imposta da versare resta sempre una sola (e non una per ogni soggetto), il pagamento effettuato da una sola parte libera anche le altre.

Se nessuno registra la sentenza, il fisco invia quindi l’accertamento, con raccomandata a.r., a tutte le parti del processo chiedendo loro la regolarizzazione dell’imposta. La stessa lettera, dunque, che riceve la parte vincitrice è stata spedita anche a quella soccombente.

«Responsabilità in solido» significa anche che il fisco può aggredire – previa notifica della cartella esattoriale – il soggetto che gli appare più solvibile. Ad esempio, in presenza di due soggetti dei quali uno soltanto ha un lavoro, verrà avviato il pignoramento dello stipendio nei confronti di quest’ultimo a prescindere dal fatto che sia proprio colui che ha vinto il giudizio.

L’azione di regresso per il pagamento dell’imposta di registro Se a pagare il debito relativo all’imposta di registro dovesse essere la parte vincitrice – magari perché teme un pignoramento del fisco – quest’ultima ha diritto a rivalersi nei confronti della parte soccombente per l’intero importo o, in caso di compensazione delle spese processuali, solo per la metà. In altre parole, dopo aver versato l’imposta, può rivolgersi all’avversario per farsi rimborsare.

Ma come si svolge l’azione di regresso? Ecco quali sono i passaggi. Innanzitutto, è bene prima contattare la controparte – magari mettendo in copia il suo avvocato – e avvisandola di provvedere alla regolarizzazione dell’imposta. Difatti, non è detto che questa, ricevuto l’accertamento, non l’abbia già fatto. Si può tentare una telefonata informale o una diffida scritta, anche a firma del legale che ha patrocinato la causa. Se tuttavia la parte soccombente non dovesse adempiere, si potrà provvedere ad anticipare l’importo per poi procedere con il regresso nei suoi riguardi. L’azione di regresso però si svolge con una richiesta di decreto ingiuntivo al tribunale. Non si può cioè agire direttamente con un pignoramento, portando – come titolo del proprio credito – la sentenza che ha condannato alle spese processuali. Difatti, secondo la Cassazione [1], tale sentenza non costituisce un “titolo esecutivo”, non legittima cioè il creditore ad avviare direttamente l’esecuzione forzata nei confronti della parte sconfitta che non ha registrato al sentenza.

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