DON CARLO CANDIDO: “IL PRETE È UN UOMO CHE RINUNCIA A FARE L’AMORE PER ESSERE AMORE”

Sulla vicenda di don Gianfranco Del Neso che ha confessato al vescovo di avere una relazione sentimentale dalla quale nascerà un figlio, e sulle discussioni e polemiche che ne sono seguite, interviene don Carlo Candido, direttore dell’Ufficio per le Comunicazioni Sociali della Diocesi:

In questi giorni, in merito alla vicenda di don Gianfranco, tanti mi hanno chiesto una parola, un commento, un parere, una risposta a tante domande.

Ho preferito il silenzio e la preghiera, perché tanto è il dolore: per lui, il vescovo, i familiari, il presbiterio, il popolo santo di Dio, gli amici. Soprattutto mi risuonavano nel cuore le parole di Papa Francesco: “Chi sono io per giudicare?”

Poi in questi giorni leggendo alcuni commenti nel mondo del web, ho udito forte nel cuore una Parola: “Io sono la Verità (non una verità) e la Verità vi farà liberi”. Per questo ho sentito come dovere d’amore alla Verità di scrivere. Perché “la carità si compiace della verità” (1 Cor 13,6).

Soprattutto, mi dispiace, che tante persone che pur si dicono cristiane e cattoliche abbiano visto il celibato come il vero spauracchio.

Ritengo che il tema del celibato sia essenzialmente una falsa questione.

Intanto la prima cosa: non è vero che nel Vangelo non ci siano fondamenti sul celibato. In primis ricordo che prima di tutti Gesù è stato celibe e che il Sacerdote è chiamato ad essere un “alter Cristus” (un altro Cristo) quindi ad identificarsi e conformarsi a Lui, l’Unico Sacerdote, che è stato ubbidiente, casto e povero.

Due: quando noi preti abbiamo fatto la scelta del celibato nessuno ci ha messo la pistola alle tempie, tanto che abbiamo fatto un percorso di discernimento di circa sei/sette anni.

Tre: Gesù stesso nel Vangelo dice che «vi sono eunuchi che sono nati così dal grembo della madre, e ve ne sono altri che sono stati resi tali dagli uomini, e ve ne sono altri ancora che si sono resi tali per il regno di Dio. Chi può capire, capisca» (Mt 19,12) .  

Con la parola “eunuco” (dal greco eunouchos) s’intendeva sia colui che era impotente dalla nascita (così il primo caso contemplato dal detto di Gesù; cfr. anche Sap 3,14); sia chi lo era divenuto in seguito a evirazione (secondo caso, vietato in Israele, cfr. Lv 22,24, per cui si era anche esclusi dall’assemblea sacra, cfr. Dt 23,2; Lv 21,20). Il terzo caso è quello di chi liberamente sceglie di non sposarsi (cfr. il contesto di Mt 19,10-11), per dedicarsi totalmente al regno dei cieli (cfr. anche 1Cor 7,32); ma questa opzione è un dono di Dio («chi può capire, capisca»). Gesù stesso dice che certamente non tutti possono capire, ma solo per chi è chiamato.

Gesù stesso, a quel tale che gli disse: «Ti seguirò dovunque tu vada», gli rispose: «Le volpi hanno le loro tane e gli uccelli del cielo i loro nidi, ma il Figlio dell’uomo non ha dove posare il capo» (Lc 9, 58). Si tratta di un’espressione semitica per dire che non ha non tanto un letto o un cuscino ma che non aveva una donna dove l’uomo potesse posare il suo capo.

Nel Vangelo di Luca poi leggiamo: «Pietro allora disse: “Noi abbiamo lasciato i nostri beni e ti abbiamo seguito”.  Ed egli rispose: “In verità io vi dico, non c’è nessuno che abbia lasciato casa o moglie o fratelli o genitori o figli per il regno di Dio, che non riceva molto di più nel tempo presente e la vita eterna nel tempo che verrà”» (Lc 18,28-30). Gesù parla chiaramente di lasciare moglie e figli: lasciare nel senso di seguirlo nella totale donazione di sé.

Lo stesso Paolo nelle sue lettere afferma: “Io vorrei vedervi senza preoccupazioni: chi non è sposato si preoccupa delle cose del Signore, come possa piacere al Signore; chi è sposato invece si preoccupa delle cose del mondo, come possa piacere alla moglie, e si trova diviso!” (1 Corinzi 7, 32).

Detto questi principi fondamentali che ci sono nel Vangelo e nel Nuovo Testamento, veniamo ad un’altra questione.

E qui cito il prof. Vittorino Andreoli, psichiatra e non credente, che dice chiaramente che il problema non è il celibato, anzi sottolinea che il Celibato è un grande dono, e pone l’accento al problema della solitudine, e spiega che essa non è stare soli ma stare insieme alla gente e sentirti solo: “La solitudine è un sentimento molto diffuso nel mondo giovanile. Non è la stessa cosa che rimanere isolati su di una montagna: vuol dire non essere percepiti, non avere un senso in mezzo alla gente, sentirsi soli tra tante persone. Si ritrova solo colui a cui nessuno attribuisce un significato, colui che vive ma è inutile”. Purtroppo oggi sempre più abbiamo coppie che vivono come scapoli sotto lo stesso tetto e preti che vivono da solisti. La grande sfida per i coniugi e i preti è essere uomini e donne di comunione, persone di relazioni autentiche e vere, significative e ricche di senso.

È talmente vero (e questo lo dico anche alla luce della mia esperienza) che se fosse il problema di avere una donna mi chiedo perché tanta gente sposata tradisce regolarmente il marito e la moglie e non sto parlando di un solo caso ma sono tanti casi che avvengono quotidianamente; questo significa dunque che il problema è un falso problema! Tanto è vero che la stessa psichiatria dice che tra i bisogni primari oltre al mangiare e al bere (bisogni biologici) c’è quello di amare e di essere amati.

Il prof. Andreoli ricorda che il Sacerdote è chiamato a qualcosa di ancora più grande, cioè quello di Amare tutti e non solo una donna nello specifico: “In un mondo in cui dominano individualismo e narcisismo, il sacerdote compie la scelta radicale di donarsi agli altri, gratuitamente, rinunciando a se stesso. Il sacerdote rinuncia, a vantaggio di un amore più ampio e più esteso, quello per la comunità che è chiamato a servire. Non è vero che l’amore abbia bisogno per forza di un oggetto specifico verso cui indirizzarsi. L’incontro con Dio è un incontro d’amore. Perciò più che della mancanza di amore, parlerei della solitudine, come del vero ostacolo per i sacerdoti di oggi. ….. intorno al prete stanno persone prese anch’esse dalla fretta e da mille incombenze, il sacerdote rischia troppo spesso di essere lasciato solo”.

Credo dunque che proprio in questa società sessista e “malata di amore” in cui tutti parlano di amore ma nessuno poi sa più cosa è, l’esperienza del Sacerdote sia una grande sfida. Il prete è chiamato a non esercitare la genitalità ma a vivere la sua sessualità, come linguaggio del corpo, in pienezza.

Il prete è colui che impara e insegna ad usare l’alfabeto e la grammatica dell’Amore: le mani per accarezzare con tenerezza, benedire e assolvere i fratelli peccatori e aiuta ad alzarsi dalla polvere del peccato e della disperazione chi ha perso il senso del vivere; le braccia per stringere al proprio cuore chi è solo o è ritornato dopo una lunga lontananza dalla “Casa del Padre”; gli occhi per piangere con chi piange, per vedere chi è nella disperazione e solitudine, e di chi è ai bordi delle strade di un mondo indifferente; i piedi per correre da chi è nel bisogno e chiede aiuto e per farsi compagno di viaggio accanto ad ogni uomo che fatica nel cammino della vita; le orecchie per ascoltare il grido dei poveri e di chi consegna con fiducia il tesoro del proprio cuore e il proprio dolore e udire il silenzio degli umili; la lingua per consigliare, incoraggiare, annunciare, bene-dire e farsi voce di chi non ha più voce.

In questi giorni qualcuno mi obbiettava di come si può conciliare i naturali impulsi sessuali con la scelta religiosa del celibato. Io mi chiedo: “Come si possono conciliare i naturali impulsi sessuali con il matrimonio?”. Perché non pensiamo mica che una persona sposata non abbia mai nessuna fantasia, nessun impulso, nessun istinto che lo richiami?

Affermare che basti avere una vita sessuale regolare per tenere sotto controllo l’istinto, è come dire che non esistono le violenze sui bambini in famiglia, lo stupro da parte di ragazzi fidanzati o il tradimento fatto da persone sposate.

Il nostro desiderio di essere “puri, puliti ed onesti” è fortissimo (tanto è vero che certe fantasie le teniamo lontane da sguardi indiscreti, per non vergognarci) ma lo dobbiamo curare come un fiore prezioso, sia che siamo preti, sia che siamo mariti, sia che siamo vergini consacrate, sia che siamo mogli felici. A volte, guardandomi intorno, mi sembra di vivere in regime di pornocrazia e non ho affatto l’impressione che, in Occidente, la sessualità sia vissuta serenamente, come a noi sembra.

Siamo passati dal bigottismo ipocrita del passato all’ostentazione più volgare di oggi, senza fermarci nella valle dell’equilibrio, dove la mente e il cuore sono totalmente collegati e l’istinto è al loro servizio. Se persone potenti e ricche sono travolte dai propri istinti sessuali, in una sorta di gioco al massacro, di delirio di onnipotenza, di non accettazione dell’invecchiamento… Se adolescenti si “regalano” per una ricarica telefonica… Se su facebook è normale offrirsi attraverso immagini che lasciano ben poco alla fantasia… Ecco, tutto ciò significa che la relazione uomo/donna e il ruolo della sessualità fanno ancora i conti con le tenebre che portiamo in noi stessi.

Il sesso è spessissimo occasionale, divorato come un cheeseburger, in fretta, più o meno avidamente. Lo si fa sul web, nelle discoteche, nelle scuole. È un rito trendy. Si fa. È un esorcismo collettivo che vuole allontanare la vertigine del vuoto, tenere a bada la noia, lasciarsi andare alla deriva per forza d’inerzia, senza scegliere. L’istinto non ci vuol far scegliere ed invece è proprio lì che dobbiamo arrivare: scegliere di essere puri, puliti ed onesti! Questa scelta la deve fare ogni essere umano in ogni momento della vita.

La purezza è un cammino che tutti dobbiamo fare, per riavere chiarezza su ciò che rende felici e su ciò che storpia la nostra bella immagine.

Ho parlato della dimensione cristologica del Sacerdote, poi c’è quella escatologica: perché il Sacerdote vive il celibato?

Perché deve ricordare al mondo quello che Gesù dice a riguardo di quella donna che aveva sposato sette mariti e al cui proposito i sadducei chiedevano di chi sarà moglie nella vita eterna (cfr. Matteo 22,28): di nessuno, perché nel Cielo non prenderemo né moglie né marito in quanto saremo come angeli di Dio, “figli della risurrezione, figli di Dio” (cfr. Lc 20,38).

Allora chi è il celibe? Colui che ricorda agli uomini dove siamo diretti, indica la meta del nostro viaggio, è il navigatore satellitare del cammino della nostra vita, ci ricorda quale sarà la nostra condizione finale.

Mi chiedo, senza il celibato, ci sarebbero preti come:

don Giovanni Bosco, che spendeva la sua vita, fino a notte inoltrata, a raccogliere i giovani abbandonati nelle strade di Torino e donando loro una famiglia e un luogo per diventare uomini di speranza.

don Andrea Milani, parroco di Barbiana, servì in modo esemplare i poveri, il Vangelo e la Chiesa. In modo speciale i suoi ragazzi: il suo motto era “I care” (m’interessa).

don Primo Mazzolari, parroco di Bozzolo, un profeta che ha vissuto da prete povero e non da povero prete. Nel suo testamento spirituale scriveva: «Intorno al mio Altare come intorno alla mia casa e al mio lavoro non ci fu mai “suon di denaro”. Il poco che è passato nelle mie mani […] è andato dove doveva andare. Se potessi avere un rammarico su questo punto, riguarderebbe i miei poveri e le opere della parrocchia che avrei potuto aiutare largamente».

don Zeno Saltini, parroco e fondatore della Comunità di Nomadelfia, una comunità parrocchiale ispirata al modello delineato negli Atti degli Apostoli che “avevano un cuore solo e un’anima sola e nessuno considerava sua proprietà quello che gli apparteneva, ma fra loro tutto era comune“. Di fronte alle sofferenze di bambini orfani o segnati dal disagio comprese che l’unico linguaggio che essi comprendevano era quello dell’amore.

don Oreste Benzi, parroco e fondatore della Comunità Giovanni XXIII, che ha liberato dalla schiavitù della prostituzione circa 1000 donne, a tanti bambini orfani ha donato una famiglia e innumerevoli giovani hanno ritrovato il senso della vita, liberandoli dai mostri delle dipendenze.

E tanti altri preti che quotidianamente nel silenzio vivono la loro fedeltà a Cristo, alla Chiesa e alla gente?

Ecco perché non è impossibile il celibato: ha ragione Gesù quando dice che non tutti possono comprendere; noi purtroppo professiamo la nostra fede nella Vita Eterna ma non crediamo ad essa, quindi la dimensione escatologica è del tutto assente dalla nostra vita di fede.

Il prete… lo fa sublime la sua originaria scelta di essere un dono per tutti, la sua consacrazione alla felicità umana, la sua determinazione di essere l’uomo di tutti e per tutti ministro di pace, plenipotenziario del Principe della pace, la sua coscienza che farsi sacerdote  “non significa mettersi una divisa fuori, ma un tormento dentro”(F. Boy), accettando di diventare “il ministro della pazienza di Dio” (B. Marshall), disposto ad essere “il più amato e il più odiato degli uomini, il più incarnato e il più trascendente, il fratello più vicino e l’unico avversario” (E. Suhard). E la sua grandezza consiste nel “lusso di poter amare tutti” (T. de Chardin).

E’ un uomo che rinuncia a fare l’amore per essere amore, ministro di un Dio che si definisce Amore.

Silenziosa testimonianza a servizio degli ammalati. Disponibilità data a tutti di essere sempre al servizio di una comunità che si aspetta tutto dal prete, così come i figli che danno per scontato che i genitori siano sempre scattanti a rispondere ad ogni loro bisogno.

Prima di concludere, mi soffermo velocemente su due questioni.

Quella del celibato come causa della scarsità di vocazioni. È un falso problema. Ricordo che nelle Chiese ortodosse, evangeliche e anglicane, dove i pope e i pastori possono sposarsi, hanno una crisi di vocazioni, mentre negli ultimi anni c’è stato un incremento, seppur lieve, di vocazioni nella Chiesa cattolica del 2%. Basterebbe dunque leggere le statistiche per capire che il problema non è di certo il celibato.

La seconda è l’accusa di chi vede nel celibato dei preti la causa della pedofilia. Vorrei ricordare che sempre le statistiche ci dicono che l’87% dei pedofili sono in famiglia quindi dovremmo allora dire che tutti i papà o tutte le mamme o nonni o zii sono pedofili? Questo purtroppo è il qualunquismo e l’ignoranza imperante che regna tra la gente. Inoltre il 90% dei casi di pedofilia nel mondo è di sposati.

Aveva ragione lo scienziato Albert Einstein quando diceva che è più facile scindere un atomo che vincere i pregiudizi e l’ignoranza della gente.

Concludo con uno scritto sul prete del servo di Dio don Primo Mazzolari:

Si cerca un uomo…   

Si cerca per la Chiesa un uomo
senza paura del domani,
senza paura dell’oggi,
senza complessi del passato.

Si cerca per la Chiesa un uomo,
che non abbia paura di cambiare,
che non cambi per cambiare,
che non parli per parlare.

Si cerca per la Chiesa un uomo
capace di vivere insieme agli altri,
di lavorare insieme,
di piangere insieme,
di ridere insieme,
di amare insieme,
di sognare insieme.

Si cerca per la Chiesa un uomo
capace di perdere senza sentirsi distrutto,
di mettersi in dubbio senza perdere la fede,
di portare la pace dove c’è inquietudine
e l’inquietudine dove c’è pace.

Si cerca per la Chiesa un uomo
che abbia nostalgia di Dio,
che abbia nostalgia della Chiesa,
nostalgia della gente,
nostalgia della povertà di Gesù,
nostalgia dell’obbedienza di Gesù.

Si cerca per la Chiesa un uomo
che non confonda la preghiera
con le parole dette d’abitudine,
la spiritualità col sentimentalismo,
la chiamata con l’interesse,
il servizio con la sistemazione.

Si cerca per la Chiesa un uomo
capace di morire per lei,
ma ancora di più
capace di vivere per la Chiesa,
un uomo capace di diventare ministro di Cristo,
profeta di Dio,
un uomo che parli con la sua vita.

Si cerca per la Chiesa un uomo.

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