NASPI, RIFONDAZIONE COMUNISTA ISCHIA ADERISCE ALLA MANIFESTAZIONE DEL PCIML

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Rifondazione comunista ischia aderisce alla manifestazione indetta dal PCI M-L contro il taglio del sussidio di disoccupazione e le recenti manovre del jobs act che complessivamente smantellano i pochi diritti rimasti ai lavoratori e impone un livellamento forzoso, al ribasso, in materia di contratto. Si tratta della riesumazione raccogliticcia del vecchio progetto di Pietro Ichino, vale a dire la definitiva riduzione dei lavoratori a forza lavoro precaria, a basso costo, priva di diritti esigibili, licenziabile ad nutum (al cenno) entro i primi tre anni di lavoro, a prescindere dalla motivazione con cui il padrone decida di rescindere il rapporto. Ma – in definitiva – anche dopo, considerato che l’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori, dopo la cura Fornero, non esiste più, poiché la reintegrazione nel posto di lavoro è stata sostituita dall’elargizione di una mancia.

La stabilizzazione dei rapporti di lavoro (a tutela progressiva nel tempo) esiste dunque solo nel titolo del progetto, ma non nella realtà. Tutti i contratti di lavoro, anche se formalmente riuniti in un’unica fattispecie, sono infatti “a tempo”: l’azienda, e solo essa, è titolata a decidere sino a quando tenere in forza un lavoratore o quando invece sia giunto il momento, o l’oppotunità o, semplicemente, il desiderio di disfarsene. Per capire questo non occorre scomodare sofisticate argomentazioni: il lavoratore il cui rapporto di lavoro è in ogni momento appeso alla discrezionale volontà (agli umori) del suo datore di lavoro non è una persona libera, ma soggiogata dal ricatto implicito nell’asimmetria di forze fra i due soggetti e nell’impossibilità di fare valere qualsivoglia diritto, in quanto ciò potrebbe costargli molto caro.

In sostanza, uscendo dalla propaganda renziana e analizzando gli effetti concreti della delega sul mercato del lavoro, si rende tipico quello che per anni è stato definito atipico, stabile ciò che fino ad ora è stato definito precario, diventa regola ciò che per anni è stata definita l’eccezione (ovvero l’utilizzo dei contratti precari). Si ridisegna il nostro mercato del lavoro, livellando verso il basso il regime delle tutele lavorative,estendendo a tutte le nuove assunzioni quello che per anni è stato sperimentato sulle pelle di alcuni. La domanda, però, sorge spontanea: senza la cancellazione delle forme contrattuali introdotte con il pacchetto Treu, ovvero le forme contrattuali atipiche che hanno creato un esercito di precari, come si pensa di rendere il contratto a tutele crescenti uno strumento deterrente nei confronti della precarietà lavorativa? È qui che emerge la più grande contraddizione, a parole si dice di voler eliminare le forme contrattuali precarizzanti e nei fatti liberalizza i contratti a termine (come nel caso del decreto Poletti), introduce un nuovo contratto senza tutele (seppur crescenti nel tempo) e non indica nessuna forma contrattuale atipica da eliminare. In sostanza il contratto a tutele crescenti, nell’attuale contesto legislativo così come ridisegnato, è il quarantasettesimo contratto di lavoro previsto dal nostro ordinamento.

Utilizzando questi strumenti l’impresa potrebbe ottenere fino a nove anni consecutivi di precarietà, e il lavoratore ne trarrebbe solo ed esclusivamente un regime di minor tutela e esposizione al ricatto.

E qui che si interseca poi l’effetto NASPI. Il trattamento di disoccupazione viene ridisegnato in base alla storia contributiva del lavoratore. L’idea alla base è discriminatoria e non inclusiva: di fatto impone una discriminazione sulla base non tanto dei bisogni e della condizione materiale di coloro che hanno perso il lavoro, quanto sulla base della capacità contributiva degli stessi. Ma la capacità contributiva dipende dal tipo di contratto lavorativo che, come è noto da alcuni anni non deriva da una trattativa ma da calcoli di convenienza del datore di lavoro.

Cosi facendo si va indubbiamente a rompere quel sottile accordo al ribasso per cui molti lavoratori accettavano demansionamento, straordinari non riconosciuti, contratti part time poco chiari, tfr non pagati in vista del salvifico assegno di disoccupazione.

A fronte di questo quadro è sicuramente necessario scendere in piazza, ma parallelamente ci auspichiamo che chi vive del suo lavoro, frutto di sacrifici e privazioni enormi, inizi a prendere coscienza della propria condizione, inizi a distinguere gli amici dai nemici di classe , e dia il via ad una nuova stagione di lotte per i diritti del lavoro anche ad ischia.

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