“L’ESPRESSO”: DE SIANO SALVATO DAL PATTO DEL NAZARENO. ECCO I CASI PIU’ NOTI.

Come l’alfaniano Antonio Azzollini, anche nei confronti del De Siano si solleva il denso fumo della persecuzione della magistratura. Almeno così la pensa il Senato, che ha ritenuto che non vi siano le condizioni per mandare ai domiciliari il parlamentare azzurro.

De Siano, coordinatore del partito in Campania, è indagato a Napoli per concorso in corruzione per un atto contrario ai doveri d’ufficio e concorso in turbativa d’asta per gli appalti nella raccolta dei rifiuti a Ischia . E sulla necessità del suo arresto si sono espressi la Procura (che l’aveva richiesto), il gip che l’ha confermato e, da ultimo, anche i tre giudici del tribunale del Riesame , al quale il parlamentare si era rivolto per l’annullamento della misura cautelare.

Solo che motivazione fornita nella sentenza è stata il pretesto per salvare De Siano. Il Riesame, cui il codice di procedura penale affida il compito di verificare la legittimità dei domiciliari, ha infatti confermato la necessità di arrestare il senatore ma ha escluso la sussistenza dei gravi indizi relativamente al reato di associazione per delinquere. E proprio su questo ha fatto leva la decisione del Senato, con un cavillo interpretativo: siccome quel capo di accusa rappresenta “il perno, per indicazione stessa del magistrato procedente, su cui poggia il pericolo di recidiva”, se si toglie il perno niente resta in piedi. Nemmeno l’opinione concorde di cinque diversi magistrati. Così a detta di Palazzo Madama – come scrive l’ex Sel Dario Stefàno, relatore del caso davanti all’Aula – da tutto questo deriva “una manifesta infondatezza dell’ordinanza del giudice per le indagini preliminari”. Malgrado il Riesame abbia in realtà affermato esattamente il contrario: ovvero che De Siano merita i domiciliari.

Sembra una questione secondaria ma non lo è affatto. Perché mostra come le interpretazioni che il Parlamento dà quando si tratta di giudicare un proprio componente siano spesso cavilli giuridici, per quanto in punta di diritto. E che a seconda delle convenienze si dia risalto ora a questo e ora quel particolare. Alcuni esempi: Francantonio Genovese, scaricato da Renzi,finisce in carcere . Giancarlo Galan , indifendibile davanti alla pesantezza delle prove (lui stesso patteggerà una condanna a 2 anni e 10 mesi) idem.

Quando si tratta di arrestare Antonio Azzollini, invece,prima il Senato attende il pronunciamento del Riesame per prendere tempo , con la motivazione che è inutile votare prima della sentenza dei giudici. Quando pure il Riesame conferma i domiciliari, però, il Senato se ne infischia e salva il parlamentare col voto segreto. Col Pd che dopo essere stato determinante coi suoi voti riesce perfino a fingere meraviglia eversare lacrime di coccodrillo .

Da ultimo il caso di Giovanni Bilardi, pure lui vicino ad Angelino Alfano: anche per lui vengono chiesti i domiciliari (l’accusa è di peculato). Anche per lui si attende il Riesame. E anche nei suoi confronti il giudizio è negativo: ci vuole l’arresto. La Giunta delle autorizzazioni conferma: ” sì, arrestiamolo “. Deve esprimersi solo l’Aula. Dunque si vota? No. Si aspetta la pronuncia della Cassazione, al quale Bilardi ha fatto ricorso. Solo che la Suprema corte rimanda la palla al Riesame. Il quale, visto che intanto sono passati 4 anni (e nove mesi se ne sono andati solo per attendere che il Parlamento si pronunci), alla fine decide che i domiciliari non servono più perché è passato troppo tempo. E così il Senato non deve nemmeno votare.

Fin qui la cronaca. Perché la questione è anche politica. E, visto il soccorso del Pd a Forza Italia, pare dar ragione a quanti sostengono che in realtà il patto del Nazareno non è davvero finito e che Denis Verdini sia solo quello che ci mette la faccia. Mentre è da notare che a chiedere il “no” all’arresto sia stato Dario Stefàno, relatore della decadenza di Silvio Berlusconi e finora sempre favorevole a concedere le autorizzazioni a procedere nei confronti dei colleghi, tanto da essere considerato un trinariciuto giustizialista dal centrodestra.

Da tempo in predicato di approdare il Pd dopo aver detto addio a Sel, per lui si era parlato di un posto da ministro per gli Affari regionali. Incarico poi affidato invece da Matteo Renzi a Enrico Costa. Pure lui uomo di Angelino Alfano.

DA L’ESPRESSO.REPUBBLICA.IT

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