(Adnkronos) – Un altro rischio è che ci siano degli scambi inopportuni, se non addirittura illeciti, tra i soggetti che presentano le liste, a scapito delle minoranze. Questo problema, spiega Ventoruzzo, ‘si risolve specificando nello statuto che se nell’elezione del cda arriva prima la lista di un socio di maggioranza, seconda la lista del consiglio e terza una lista degli investitori istituzionali, si privilegia la terza lista presentata dai soci’.
Per Ventoruzzo ‘ci sono le ragioni per pensare che un buon consiglio, diligente e privo di conflitti di interesse possa fare una buona selezione di persone competenti e capaci che possono dare un contributo’. Inoltre, con la presentazione della propria lista il board ‘ci mette la faccia, anche più del socio’, a dispetto delle critiche di autoreferenzialità. In base a una ricerca empirica citata da Ventoruzzo, nei casi in cui è stata effettivamente depositata una lista del cda, la percentuale di consiglieri confermati è stata leggermente più bassa che nei casi in cui tale lista non concorreva all’elezione: 54% rispetto a una percentuale media superiore al 60%.
La lista del cda può poi ‘concorrere a dare maggiore autonomia ai consiglieri rispetto ai soci, elemento talvolta utile per un modello di governance più manageriale’. Lo strumento è quindi ‘utile, ovviamente a condizione che alcune regole scritte e non, anche di prassi, vengano rispettate’. In ogni caso le prime esperienze in Italia, commenta Ventoruzzo, ‘mi sembra che siano tutto sommato positive. In assenza di forti ragioni per limiti e divieti, una certa flessibilità negli statuti societari è desiderabile. Poi saranno soci e mercato a giudicare’.