LEGAMBIENTE: ” ISCHIA SIMBOLO DEL CEMENTO SELVAGGIO”

Di condoni, norme “blocca ruspe”, vecchio e nuovo cemento illegale si è parlato oggi a Roma all’incontro organizzato da Legambiente Abusivismo edilizio: l’Italia frana, il Parlamento condona. Un dibattito tra gli attori in campo per sfatare gli alibi del no alle ruspe e stimolare nuove azioni per il ripristino della legalità, con la partecipazione, tra gli altri, del ministro dell’Ambiente Andrea Orlando, di Ermete Realacci presidente della Commissione Ambiente della Camera, Ciro Falanga senatore FI, Loredana De Petris senatrice Sel, Aldo De Chiara avvocato dello Stato presso la Procura generale di Salerno, Domenico Fiordalisi procuratore capo di Tempio Pausania, Enrico Fontana direttore di Libera, Luca Di Fiori sindaco di Ardea, Daniela Ciancimino avvocato del centro di azione giuridica di Legambiente Sicilia, Vittorio Cogliati Dezza e Rossella Muroni presidente e direttore generale di Legambiente. “I tentativi di fermare le ruspe delle Procure – ha dichiarato Rossella Muroni, direttore generale di Legambiente – affermano l’esigenza di salvare le case fuorilegge in nome di un presunto abusivismo di necessità. Ma questo ‘abusivismo della povera gente’ oggi esiste davvero? Se sì, dove e quante famiglie riguarda e perché non vengono aiutate con l’inserimento nelle graduatorie delle case popolari? Se la loro situazione è seria, e ancor più aggravata dal fatto di vivere in un edificio che deve essere demolito, i Comuni hanno l’obbligo di provvedere all’assegnazione in via prioritaria di un alloggio sociale. A meno che non si ammetta che dietro questo alibi si celano anche le ville di notai, farmacisti, avvocati, imprenditori, assessori comunali. Ed è difficile immaginare che costoro possano adattarsi alle case popolari”. Come racconta il dossier presentato oggi, affrontare il problema, serissimo, del bisogno abitativo è secondo Legambiente una priorità. Senza dimenticare la necessità, non più eludibile, di delocalizzare gli insediamenti sorti nelle aree a rischio dissesto, considerando anche l’opportunità di demolire e ricostruire. Una pratica pressoché sconosciuta in Italia, dato che tra i 1.354 comuni interpellati dalla ricerca Ecosistema Rischio 2013, condotta da Legambiente e Dipartimento di protezione civile, solo 55 hanno dichiarato di aver avviato nell’ultimo biennio procedure di delocalizzazione. Lo stivale si sgretola sotto le frane e le ondate di piena dei fiumi, ma nonostante tutto nell’ultimo decennio sono state edificate aree esposte a pericolo frane e alluvioni in ben 186 Comuni. Proprio la Campania, con i suoi 175mila immobili abusivi, è la regione che vanta il primato nazionale per numero di reati legati al ciclo del cemento illegale nel 2012, con 875 infrazioni accertate dalle Forze dell’ordine nel 2012, il 13,9% del totale nazionale. Napoli è la prima provincia d’Italia, con 305 infrazioni accertate (il 4,8% del totale nazionale), seguita da Salerno, con 267 (il 4,2%). Una delle zone più colpite è il litorale Domitio-Flegreo. Il fenomeno è così vasto che non ha risparmiato nemmeno l’area archeologica di Pompei, dove nel gennaio del 2013 i carabinieri hanno scoperto 3 villette tirate su senza autorizzazione proprio a ridosso degli scavi. E poi c’è Ischia che, con oltre 600 immobili colpiti da ordine di demolizione determinato da sentenza definitiva, è il simbolo indiscusso del cemento selvaggio. E’ la Sicilia, invece, a guidare la classifica 2013 dell’abusivismo edilizio nelle aree demaniali costiere, con 476 illeciti, 725 persone denunciate e 286 sequestri. Nella regione, ci sono sempre state enormi difficoltà ad applicare la legge che prevede l’acquisizione e la successiva demolizione degli immobili: sono ancora in piedi le circa 5mila case costruite sulla spiagge di Castelvetrano-Selinunte e di Campobello di Mazara (solo una piccola parte delle circa 50mila stimate su tutte le coste siciliane), le 560 case nella zona di massima tutela della Valle dei Templi, le oltre 400 della Riserva della Foce del Simeto a Catania, i circa 360 immobili di Pizzo Sella, la famigerata “collina del disonore” a Palermo , di cui 300 sono scheletri.

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