DOSSIER DELLA LEGA ITALIANA PER LA DIFESA DEGLI ANIMALI E DELL’AMBIENTE

Il randagismo è un fenomeno ancora molto diffuso nel nostro Paese, anche se non ne sono note le dimensioni esatte per la mancanza di dati completi e di numeri aggiornati. Neanche l’anagrafe degli animali d’affezione, prevista già dalla legge del 1991 e tenuta dalle Regioni, funziona correttamente, visto che molti cani non vi sono iscritti o molti non sono cancellati al momento del decesso. Non solo: i sistemi informativi regionali non dialogano efficacemente tra loro e con la banca dati nazionale. Quindi è difficile, o impossibile, l’interscambio in tempo reale delle informazioni relative agli animali iscritti, per rintracciarli tempestivamente in caso di smarrimento e abbandono, per agevolare la circolazione di informazioni anagrafiche e sanitarie sugli animali e per programmare interventi di contrasto.

La carenza di elementi oggettivi di conoscenza non è casuale. Nonostante sia in vigore da decenni una buona legge, la 281/1991, che specifica bene che cosa devono fare le Regioni, che cosa i Comuni, che cosa le Asl (per esempio le sterilizzazioni), è frequente, da parte delle amministrazioni locali, il mancato adempimento di questi obblighi, che nei casi estremi, soprattutto al Sud, assomiglia molto ad un vero e proprio sabotaggio. Più in generale, c’è una responsabilità di governo, non solo nell’insufficiente (o meglio inesistente) raccolta di dati, ma nella mancanza di finanziamenti adeguati (solo nella legge di stabilità per il 2019 l’intergruppo parlamentare per i diritti degli animali ha ottenuto l’incremento ad un milione di euro del fondo nazionale per la lotta all’abbandono) e di seri controlli, assistiti da proporzionate sanzioni, sull’implementazione della 281 da parte degli enti locali. Tutto ciò impedisce di elaborare politiche efficaci per contrastare un fenomeno che causa gravi sofferenze agli animali e costa moltissimo alla collettività. Difficile affrontare un problema senza sapere in dettaglio quali proporzioni ha, quale distribuzione sul territorio nazionale, dove sono le vere criticità e senza essere certi che, in media, ciascuno faccia il suo dovere.

I numeri sotto riportati, in gran parte frutto di stime, servono a dare un’idea della piaga, alimentata dagli abbandoni e dalla riproduzione incontrollata. La sensazione è quella di un Paese spaccato in due, con un Nord (Friuli Venezia Giulia, Piemonte, Lombardia, Liguria, Veneto, Valle d’Aosta e Province Autonome di Trento e di Bolzano e in più la Toscana) in cui il randagismo canino è sostanzialmente contenuto e un Centro-Sud dove i randagi sono molti, in alcune aree moltissimi, e la situazione appare spesso fuori controllo. In Sicilia, secondo il presidente della commissione sul randagismo dell’Ars, “nel 2016 sono stati censiti 75 mila cani randagi e 90 mila nel 2018”. Laddove la tensione è più alta si verificano, con preoccupante cadenza, anche i più clamorosi atti di crudeltà e intolleranza nei confronti degli animali. Basti ricordare un clamoroso episodio per tutti: l’avvelenamento di decine di cani a Sciacca (Agrigento). Preoccupante anche la condizione delle colonie feline, a volte riconosciute dalle autorità (come vorrebbe la legge), a volte tollerate, a volte ignorate. A fronte di 94 gattili al Nord, ne sono segnalati appena 7 al Sud.

Altrettanto difficile è quantificare il costo sociale del randagismo, perché le ricadute negative sono molte: salute, sicurezza, gestione del territorio, immagine turistica. Per avere un’idea si può partire da una cifra base, relativa all’anno 2017: circa 146 milioni di euro all’anno. Ci si arriva moltiplicando l’importo minimo che una circolare del Ministero della Salute indica come congruo ad assicurare un adeguato mantenimento degli animali, 3,50 euro al giorno, per il numero dei cani registrati nei rifugi (oltre 114mila) x 365 giorni. E’ l’altissimo prezzo-base – senza contare gli effetti collaterali (igiene pubblica, sicurezza, immagine turistica) – che paghiamo per gli abbandoni, la mancata applicazione delle leggi vigenti (sterilizzazione) e l’inesistenza di una vera politica per incentivare le adozioni.

La Lega Italiana Difesa Animali e Ambiente (LEIDAA), da sempre in prima linea nella lotta contro il randagismo, interviene principalmente in tre modi: 1)finanziando campagne di sterilizzazione, tramite protocolli d’intesa con i veterinari, nelle zone dove l’emergenza randagismo è più grave 2)sovvenzionando le associazioni locali o i piccoli gruppi di volontari attivi sul territorio 3) promuovendo a tutti i livelli il possesso responsabile e le adozioni dai canili. Nel dicembre scorso è stata completata, in collaborazione con la Federazione nazionale degli ordini veterinari (Fnovi) e con l’Associazione nazionale medici veterinari (Anmvi), una prima tranche di sterilizzazioni: trecento gli interventi di ovariectomia/ ovarioisterectomia su cani e gatti randagi, finanziati con i fondi raccolti attraverso gli sms solidali ed eseguiti in cinque Regioni del Sud: Sicilia, Calabria, Sardegna, Puglia, Molise e Campania (con l’esclusione della Basilicata, dove nel 2015 è stata lanciata una campagna gratuita di sterilizzazione). La Federazione nazionale degli ordini veterinari ha fornito all’onlus un elenco di veterinari attivi nelle Regioni interessate, dichiaratisi disponibili ad aderire alla “task-force stop al randagismo” e ad eseguire le operazioni secondo le migliori pratiche e le migliori condizioni economiche possibili. Gli interventi sono stati ripartiti in proporzione alla popolazione di ciascuna Regione. E’ in preparazione una seconda tranche di altre trecento sterilizzazioni nelle regioni del sud sempre interamente finanziate dalla Lega Italiana Difesa Animali e Ambiente.

Un’altra modalità di intervento è il sostegno ai piccoli gruppi di volontari impegnati in prima linea: contributi a volte decisivi per la sopravvivenza o il proseguimento dell’attività sempre “di frontiera” dove l’indifferenza moltiplica la sofferenza degli animali.

Infine vi sono le campagne nazionali, per la sensibilizzazione al possesso responsabile e l’incentivazione delle adozioni. Le adozioni consapevoli sono lo strumento principe per favorire le uscite dai canili e ridurre i rientri. Più un cane rimane all’interno di un canile, più avrà difficoltà ad abituarsi alla vita fuori dal rifugio. Quindi, se le condizioni generali lo consentono, dovrebbe rimanerci il meno possibile.

DATI DI SINTESI:

12 milioni: cani registrati all’anagrafe canina (Certamente sovrastimato per mancate cancellazioni). Secondo le stime Euromonitor, nelle famiglie italiane sono presenti 7 milioni di cani e 7,3 di gatti

6-700 mila: il numero stimato dei cani randagi in Italia

2,4 milioni: il numero stimato dei gatti randagi in Italia

114.866: cani presenti nei canili rifugio (2017, escluse Calabria e Campania)

91.021: cani entrati nei canili sanitari (2017), di cui solo il 38 per cento restituito al detentore

69.094: gatti randagi sterilizzati (2017)

300+300: cani e gatti randagi “obiettivo” delle campagne di sterilizzazione della Lega Italiana Difesa Animali e Ambiente in cinque Regioni del Sud finanziate con l’iniziativa Salvami Subito (2017/2018)

46.960: cani adottati nei canili (2017)

297.243 euro: entità complessiva del Fondo nazionale per la lotta all’abbandono (2017). Per il 2019 è stata stanziata la somma di un milione.

1.200: i canili sanitari e i rifugi autorizzati in Italia (2017)

1277,5 euro/anno costo medio di un cane in un canile

7 anni: tempo medio di permanenza di un cane in canile

146,7 milioni di euro: costo annuo di mantenimento dei cani nei canili (2017)

750 casi di maltrattamento, abuso, animalicidio segnalati dai media nel 2017, di cui

89 casi di avvelenamento

(Dati del Ministero delle Salute e delle associazioni animaliste nazionali)

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