“GLI INVISIBILI – FRATTURE GENERAZIONALI”. RIFLESSIONI DI ANTIMO PUCA

L’analisi della spesa sociale in Italia mostra come l’assenza di politiche efficaci a sostegno dell’infanzia venga da lontano e sia il risultato strutturale di precise scelte politiche. Il sistema in vigore agisce soprattutto nel ridurre l’esposizione al rischio povertà delle persone sole e delle coppie senza figli, specialmente in età avanzata. E guardando agli ultimi dati disponibili, emerge come l’84% degli individui che usufruiscono delle principali prestazioni del sistema di welfare- assegni sociali, pensioni di reversibilità, integrazione al minimo, maggiorazione sociale e assegno per il nucleo familiare con tre o più figli minori- sia costituito da persone anziane e in 1 caso su 4,- per il 27%-, da persone nelle fasce di reddito più elevate. Se poi confrontiamo gli ultimi dati elaborati da Eurostat sulla spesa sociale in Europa per il 2013 notiamo che in Italia la quota di spesa sociale destinata a famiglie, maternità e infanzia è meno della metà della media europea, -4,1% rispetto all’8,5%-. Anche quella destinata all’abitazione è irrisoria, 0,1%, rispetto a quanto si spende nell’Europa a 28,- il 2%-. In realtà l’Italia investe nella protezione sociale di ogni cittadino quanto spendono in media I 28 Paesi europei, 7.627 euro, ma il nostro welfare, – ovvero quel complesso di politiche sociali messe in atto dallo Stato per garantire l’assistenza e il benessere dei cittadini-, è chiaramente poco efficace nel combattere l’esclusione sociale e le povertà minorili. – Più POVERI. -Numerosi studi nei più svariati campi dimostrano l’importanza strategica del contesto sociale nel processo di sviluppo dei bambini. Le possibilità economiche delle famiglie finiscono fatalmente per arricchire o impoverire lo spettro di opportunità di socializzazione e formative cui sono esposti i figli, ampliare o restringere i loro orizzonti, stimolare o reprimere il loro potenziale emotivo e intellettivo. Soprattutto tra i più piccoli, ristrettezze e deprivazioni possono produrre cicatrici invisibili che rischiano di rimanere per tutta la vita. Malgrado ciò sia noto da tempo, negli ultimi vent’anni l’Italia ha fatto poco o niente per aiutare le famiglie in difficoltà e mettere i bambini al riparo dalle trappole della povertà. Al contrario, anche nel nostro Paese l’incidenza della povertà assoluta aumenta al decrescere dell’età. Vivono con poco o niente, in condizioni di povertà assoluta, 4 persone anziane, 7 adulti, quasi 10 giovani e infine 11 bambini ogni 100 individui della stessa classe d’età. Non solo bambini e ragazzi sono nettamente più esposti a crisi e rovesci economici, ma il gap generazionale si è andato ampliando nell’ultimo decennio. Tra il 2005 e il 2015 è triplicata la percentuale delle famiglie con bambini che vivono in povertà assoluta, cresciute dal 2,8 al 9,3%. Tra il 1997 e il 2015 è cresciuta del 70% la quota di famiglie con almeno 1 figlio minore in povertà relativa, – dal 10,2% al 17,2%-. In Italia la povertà minaccia il presente e il futuro di almeno 1.130.000 bambini e ragazzi in povertà assoluta, il 10% del nostro tesoro. “ La povertà dei bambini riesce ad apparire solo nella fiammata improvvisa dello sdegno più p meno ipocrita quando un bambino muore per assideramento in un campo room, o indirettamente e in modo ambiguo di fronte agli esiti dei test sulle capacità logiche cognitive che mostrano lo svantaggio che bambini più poveri, o nello scandalo dei bambini precocemente assoldati dalla malavita. Ma difficilmente, e ancor più in Italia, riesce a diventare attenzione sistematica e tantomeno a entrare tra le priorità di un programma politico o di governo”. – BAMBINI SENZA-. Che cosa significhi concretamente per un bambino nascere in una famiglia in povertà lo dimostrano bene i risultati di un’importante ricerca coordinata dall’ufficio statistico europeo. Tra le altre cose l’indagine rileva il mancato accesso da parte dei bambini da 1 a 15 anni ad una serie di beni ritenuti acquisiti e di pubblico dominio nelle società avanzate. Oltre a descrivere una condizione di deprivazione materiale, molti di questi indicatori hanno il merito di svelare un aspetto decisivo delle povertà minorili. Chi nasce in povertà deve spesso fare i conti fin da piccolo con un’autentica, dolorosa, condizione di esclusione affettiva e sociale. Il bambino povero è spesso un bambino più solo perché ha meno occasioni di svago e di socializzazione dei suoi pari: non può festeggiare il suo compleanno e di frequente non partecipa a quelli degli altri, né alle gite scolastiche; non può invitare gli amici a casa, condividere i suoi giochi con gli atri, anche perché a volte non ne possiede. Fin da piccolo, suo malgrado, comincia a essere segnato dallo “stigma” della sua appartenenza sociale, a sperimentare quotidianamente e a volte con vergogna la propria “diversità”, perché sa di non poter accedere a una serie di beni e di servizi, ai quali tutti gli altri accedono e che anche lui vorrebbe poter fruire anche solo per fare parte del gruppo, per sentirsi alla pari e tra pari. Nelle situazioni più estreme non ha la possibilità di acquistare una maglietta o un paio di scarpe nuove, ma sono in tanti a dover rinunciare a una bicicletta o a un monopattino di cui i suoi compagni di scuola fanno sfoggio. Il bambino povero finisce spesso per essere percepito come “altro”, “diverso” dai suoi stessi amici, e per questo emarginato.

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