VIVA L’8 MARZO, GIORNATA INTERNAZIONALE DELLE DONNE. DI MONICA MARTENGHI (PMLI)

Seguiamo la via di classe e rivoluzionaria dell’emancipazione delle donne.Viva l’8 Marzo, giornata internazionale delle donne, e buon 8 Marzo militante alle lavoratrici, alle disoccupate, alle studentesse, alle masse femminili, alle migranti che riempiranno le piazze di Italia e del mondo in occasione dello sciopero globale delle donne contro la violenza maschile anche per quest’anno convocato meritatamente dal movimento Non una di meno italiano e da quelli omologhi in oltre 60 paesi di tutti i continenti.

Continuiamo a chiedere con forza che la Cgil e la Fiom decidano finalmente di unirsi agli altri sindacati non confederali che hanno proclamato lo sciopero nei settori pubblici e privati offrendo copertura sindacale alle lavoratrici che vi vogliono aderire.

Le militanti e i militanti del PMLI parteciperanno con entusiasmo alle manifestazioni, ai presidi e ai sit-in che nell’ambito dello sciopero si svolgeranno nelle città dove siamo presenti. Là dove non ci saranno iniziative del movimento le istanze intermedie e di base cercheranno di organizzare banchini e volantinaggi, possibilmente con altri partiti, con la bandiera rossa e la falce e martello, affinché il Partito in questa giornata sia comunque in piazza, come del resto facciamo da sempre. Invitiamo anche le istanze del Partito, là dove è possibile, a offrire la mimosa, il fiore simbolo dell’8 Marzo in Italia, alle donne e alle ragazze durante le manifestazioni e le iniziative di massa.

La giornata internazionale delle donne fu istituita nel 1910 dalla Conferenza delle donne socialiste di Copenaghen per ricordare il martirio delle 129 operaie della Cotton di New York morte due anni prima nell’incendio della fabbrica in cui il padrone le aveva rinchiuse. A promuoverla furono le marxiste-leniniste russe ed europee ispirate da Lenin e non la corrente riformista e socialdemocratica contro la quale già imperversava la lotta che porterà poi alla scissione del 1919 e alla costituzione della Terza Internazionale. A scegliere di celebrare questa giornata ogni anno, proprio l’8 Marzo, fu la II Conferenza internazionale delle donne comuniste del ’21 (che si teneva sempre alla vigilia dei congressi dell’Internazionale comunista) per ricordare la grande manifestazione di massa delle donne di Pietrogrado – dell’8 Marzo 1917 – che dette il via alla rivoluzione di febbraio, tappa e preludio della Grande Rivoluzione d’Ottobre.

Dall’ora e per lungo tempo le masse femminili hanno celebrato l’8 Marzo ispirandosi direttamente all’Urss di Lenin e Stalin, e in seguito, specie nel ’68, alla Cina di Mao. La dittatura del proletariato in questi due paesi aveva infatti realizzato per le donne ciò che nessuna repubblica borghese era mai riuscita a compiere e aveva spinto le masse femminili dei paesi capitalisti a dar vita a dei movimenti di massa per la conquista dei diritti specifici delle donne, la parità con l’uomo e l’emancipazione.

I Maestri e la questione femminile

I grandi Maestri del proletariato internazionale Marx, Engels, Lenin, Stalin e Mao hanno sempre tenuto in grande considerazione le masse femminili e il problema cruciale della loro emancipazione. Nessuno come loro è stato il più tenace sostenitore della parità e dell’uguaglianza fra l’uomo e la donna nella famiglia, nel lavoro e nella società.

Per Marx infatti, “il grado dell’emancipazione femminile è la misura naturale dell’emancipazione generale”.

Anche Lenin teneva in grande considerazione le masse femminili. In una nota dell’8 Marzo 1919 diretta a Stalin in riferimento alla riorganizzazione del controllo di Stato ha indicato di inserire nel decreto “la partecipazione di elementi della popolazione proletaria, con la partecipazione obbligatoria di due terzi di donne”.

Mao, più tardi avrebbe sottolineato che “senza l’emancipazione della donna, il socialismo non può essere consolidato” e che occorreva che “Le donne prendano posti di comando” nella nuova società socialista.

La conquista delle masse femminili alla causa del proletariato e del socialismo era considerata dai Maestri un problema cruciale e per questo non si sono risparmiati sforzi nello studio, nell’elaborazione, nell’impegno politico e organizzativo per chiarire l’origine, le cause e indicare la via per risolvere la questione femminile.

Fin dalla nascita del socialismo scientifico il problema dell’emancipazione della donna è stato al centro di aspre polemiche e acute contraddizioni fra le due linee all’interno del movimento operaio e comunista internazionale. Marx ed Engels prima, Lenin e Stalin dopo, e infine Mao hanno dovuto condurre aspre battaglie a livello ideologico, politico, strategico e tattico contro le teorie riformiste, revisioniste, trotzkiste e femministe borghesi e piccolo borghesi per far affermare la visione di classe e rivoluzionaria di questo problema.

Le principali contraddizioni fra le due linee possono essere riassunte in tre punti principali: l’origine della schiavitù della donna; il rapporto fra l’oppressione di classe e quella di sesso; i modi e i mezzi per realizzare una effettiva parità con l’uomo.

La concezione di classe della questione femminile

I Maestri del proletariato internazionale attraverso approfonditi studi e analisi scientifiche individuarono che l’oppressione economica, sociale, familiare e personale della donna trae origine dalla nascita della proprietà privata e quindi dalla divisione in classi della società e che le forme di oppressione della donna verificatesi nella storia sono il frutto del passaggio del potere da una classe sfruttatrice all’altra: da quella schiavistica a quella feudale, da quella feudale a quella borghese capitalistica attuale. Il capitalismo non ha eliminato lo stato di soggezione e di inferiorità in cui le donne sono state mantenute in tutte le altre società sfruttatrici, anzi esso le ha sottoposte a una doppia schiavitù: salariata in fabbrica e domestica in casa.

Facendo piazza pulita delle concezioni idealiste, femministe e borghesi molto in voga nel diciannovesimo secolo, il marxismo-leninismo-pensiero di Mao ha individuato e messo a fuoco, che è l’esistenza della proprietà privata e lo sfruttamento dell’uomo sull’uomo e non la sovrastruttura culturale e morale o la cosiddetta “società maschilista” la causa principale e determinante della schiavitù della donna.

La doppia schiavitù salariata e domestica, l’emarginazione economica, sociale, politica, culturale e statale della donna rispetto all’uomo, la subalternità e la tutela familiare, maritale e maschile sono il prodotto della società divisa in classi, dei rapporti di produzione e dell’organizzazione sociale e familiare capitalistici, della concezione dominante borghese. È il capitalismo che genera il maschilismo, la famiglia borghese e patriarcale, il femminicidio, gli stupri, la violenza sulle donne e di genere, sulle soggettività Lgbtqia+, sui corpi, i territori e gli animali.

Le donne nel capitalismo sono la colonna portante della famiglia borghese intesa come cellula economica di base della società. Questa famiglia, gerarchizzata al suo interno, è come una piccola azienda inserita nella più grande produzione capitalistica. Attraverso questo tipo di famiglia, e la schiavitù della donna al suo interno, il capitalismo si assicura infatti ogni giorno la riproduzione della forza-lavoro, intesa come riproduzione della specie e rigenerazione della forza-lavoro stessa. Invece di garantire servizi sociali pubblici per soddisfare i bisogni delle lavoratrici e dei lavoratori, a scapito dei profitti, i capitalisti si assicurano attraverso la schiavitù domestica e familiare delle donne servizi privati e gratuiti. La famiglia borghese è il principale e irrinunciabile ammortizzatore sociale della società capitalistica.

Questo ruolo della donna nella famiglia e nella società viene presentato come un destino ineludibile, inscindibile dalla loro funzione riproduttiva e viene ipocritamente giustificato ed edulcorato dagli ideologi borghesi e cattolici invocando una presunta “vocazione naturale” delle donne alla maternità, al “lavoro di cura” e alla famiglia.

Il messaggio sociale che vogliono veicolare è quello che le donne sono di fatto esseri inferiori, oggetti di piacere e di servizio per i mariti, i partner e la famiglia intera, il cui ruolo sociale è del tutto marginale e inferiore, incapaci di assumere decisioni indipendenti e autonome rispetto ai genitori prima, al marito e ai figli poi. Non a caso la violenza sulle donne viene perpetrata soprattutto in famiglia, da parte di mariti, padri, fidanzati o ex partner.

I Maestri e i marxisti-leninisti non hanno mai negato la contraddizione di sesso e di genere. Al contrario hanno sottolineato che essa è una delle manifestazioni più retrive e barbare della società capitalistica. Il problema è che questa contraddizione è secondaria e dipende dalla contraddizione principale che è quella di classe fra proletariato e borghesia.

Le idee della classe dominante sono in ogni epoca le idee dominanti; cioè la classe che è la potenza materiale dominante della società è in pari tempo la sua potenza spirituale”Così Marx ed Engels chiariscono che anche la concezione della donna, della famiglia, dei rapporti fra i sessi riflette esattamente gli interessi della classe che è al potere e che è impossibile quindi modificarla realmente senza rovesciare la classe dominante borghese e il sistema economico e sociale capitalistico.

La storia ha dimostrato che non è sufficiente che cambino le leggi per realizzare nella pratica la completa e reale parità uomo-donna. Bisogna che l’economia e l’organizzazione della vita familiare e sociale cambino profondamente la vita reale delle donne e degli uomini, cambino gli usi, le abitudini e le consuetudini, le coscienze, la morale, le aspirazioni e la stessa consapevolezza di sé delle masse femminili e maschili. E questa profonda rivoluzione può avvenire solo in una società libera dallo sfruttamento dell’uomo sull’uomo, nel socialismo.

Solo il socialismo potrà creare infatti le condizioni concrete perché possano essere realizzati i due elementi fondamentali per l’emancipazione della donna e cioè la partecipazione delle donne al lavoro produttivo e sociale e la socializzazione del lavoro domestico e familiare. Le donne devono fisicamente stare fuori delle case, essere indipendenti economicamente, partecipare interamente e da protagoniste all’economia sociale e alla vita politica e statale collettiva. Mentre fanno questo devono essere libere dalla schiavitù domestica e familiare affidando i tradizionali compiti materiali che sono stati scaricati sulle loro spalle da secoli a una fitta rete di servizi sociali, sanitari e assistenziali pubblici e gratuiti che coprano socialmente tutti i bisogni della sopravvivenza quotidiana e cioè mense pubbliche di qualità, lavanderie pubbliche, squadre di lavoratori salariati che si occupano della pulizia delle case, asili, scuole, centri estivi in grado di assicurare l’educazione dei bambini e degli adolescenti, strutture pubbliche e di assistenza pubblica per le persone anziane non autosufficienti o per i disabili. Dovranno essere ripensate le città, le case, le strutture pubbliche affinché sia favorita la vita collettiva e sociale e non la vita parcellizzata e isolata all’interno delle singole famiglie.

In ultima analisi anche per risolvere la questione femminile la scelta strategica e di fondo che occorre compiere è quella del socialismo e del potere politico del proletariato.

La concezione femminista

Questa verità è stata da sempre negata dai riformisti vecchi e “nuovi” e dalle femministe che hanno sempre presentato la questione femminile come una questione a sé stante, puramente di genere e slegata dalle classi e dalla lotta di classe. Per il femminismo in particolare all’origine della discriminazione della donna e della sua subordinazione sta il patriarcato e la cosiddetta “società maschilista”, ossia vi sta la sovrastruttura culturale, morale, etica e familiare rimasta sostanzialmente immutata nei secoli.

Secondo questa concezione la questione femminile può quindi essere risolta fermo restando il capitalismo attraverso il riconoscimento formale di una serie di diritti e in una battaglia soprattutto culturale che è sfociata spesso in una vera e propria inconcludente lotta fra i sessi, di carattere interclassista e sostanzialmente borghese che invece di unire ha diviso il fronte anticapitalista. Fanno parte di questa linea le teorie individualiste e piccolo borghesi dell’“autocoscienza”, del “separatismo”, e quella ancor più deleteria e borghese, non a caso fatta proprio da governi e persino dalla Chiesa cattolica, della “differenza sessuale” che ha di fatto spalancato le porte al rilancio del familismo.

Le teorie femministe sono apparentemente anticapitaliste ma le loro ricette riformiste non sono in grado di superare il capitalismo. Propongono solo un modello diverso di capitalismo in cui permangono lo sfruttamento dell’uomo sull’uomo, le classi e l’economia, il potere e lo Stato della borghesia e con ciò le disuguaglianze di genere. Non a caso attaccano esclusivamente il neoliberismo che è solo una delle forme di politica economica, anche se la più feroce e antipopolare, del capitalismo. E soprattutto non pongono il problema di conquistare la nuova società socialista. Certi settori femministi invocano una trasformazione radicale di questa società ma non indicano come, per quale via e soprattutto con quale modello di società sostituirla.

La crescita di un movimento di massa femminile che si occupa e lotta contro la violenza maschile e il patriarcato, per diritti specifici delle donne nel campo del lavoro, dei servizi sociali, dei diritti civili e giuridici fino a quelli inerenti la famiglia, la morale, la sessualità, alimentato anche dal momento femminista, specie negli anni ’70 ed oggi all’interno del movimento Non una di meno, è stato in passato ed è ancora oggi un fattore estremamente importante per la crescita e lo sviluppo del processo di emancipazione delle donne, per la loro presa di coscienza e la presa di coscienza dell’intero movimento operaio e popolare, per gli scossoni che provoca al sistema capitalistico e alla sua sovrastruttura. Ma la lotta per l’emancipazione delle donne può raggiungere la vittoria solo se si lega saldamente al movimento di emancipazione dell’intera società, cioè alla lotta per la conquista del potere politico da parte del proletariato che è l’unica classe generale capace di unire e guidare tutte le forze anticapitaliste verso l’abbattimento del capitalismo e l’instaurazione della dittatura del proletariato.

Con ciò noi non abbiamo mai vissuto e non viviamo la contraddizione fra noi e le femministe all’interno del movimento femminile come una contraddizione antagonista. Abbiamo punti di vista ideologici e strategici opposti ma ciò non ci ha mai impedito nel passato, nel presente e non ci impedirà nel futuro di trovare intese e fare fronte unito per portare avanti insieme gli obiettivi comuni nell’interesse delle masse femminili.

Come ha indicato il Segretario generale del Partito, compagno Giovanni Scuderi nell’importante, acuto e lungimirante messaggio di felicitazioni indirizzato alla Delegazione del Partito che ha rappresentato il PMLI alla grande manifestazione del 24 novembre scorso a Roma: “le masse femminili italiane sono una componente pensante, combattiva e di avanguardia fondamentale del movimento anticapitalista”.

Nel movimento femminista Non una di meno ha aggiunto: “Dobbiamo continuare a lavorare indipendentemente dalle divergenze ideologiche e strategiche.

Con le femministe possiamo trovare, come nel passato e nel presente, ampie convergenze sulle piattaforme rivendicative concrete e sulle lotte politiche, sindacali, ambientaliste, culturali e di qualsiasi altro tipo riformiste. Purtroppo, al momento, non è possibile intenderci sulla via strategica del cambiamento dell’Italia, ma non per questo dobbiamo rinunciare ad avanzare la nostra proposta del socialismo, del potere politico del proletariato e della via di classe dell’emancipazione delle donne, confidando nella sensibilità, nell’interesse e aperture delle donne, specie delle ragazze, più avanzate, combattive e informate che fanno parte di Non una di meno”.

La condizione femminile in Italia

La condizione delle masse femminili in Italia sta peggiorando a vista d’occhio e richiede davvero la presenza stabile e sempre più forte e coraggiosa del movimento di massa delle donne e i marxisti-leninisti faranno la loro parte per conservarne l’unità e allargarne le fila specie fra le operaie e le lavoratrici.

Le donne in Italia continuano ad essere essenzialmente delle schiave domestiche, escluse in massa dal lavoro, retribuite meno degli uomini nonostante siano più istruite, relegate ai livelli professionali più bassi, nel precariato, nel part-time, nel lavoro stagionale, saltuario e a nero. Il tasso di occupazione femminile è al di sotto del 50% in Italia e del 38% al Sud, all’ultimo posto in Europa solo dopo la Grecia. Negli ultimi dieci anni le lavoratrici dipendenti a part time sono aumentate di oltre il 70%. Il risultato sono 2 milioni e 472 mila donne in povertà assoluta e 4 milioni e 669 mila in povertà relativa (Istat 2018). Gli asili nido in Italia coprono solo il 22,8% del bacino totale dei bambini sotto i tre anni.

Per non parlare del femminicidio e della violenza sulle persone LGBTQIA+. In Italia ogni 72 ore viene uccisa una donna e in tre casi su quattro ciò avviene nell’ambito familiare.

Il governo fascista e razzista Salvini-Di Maio, ha fatto propria la politica familista e mussoliniana dei governi precedenti e si muove più che mai al motto di “Dio, patria e famiglia”. Rientrano in questo quadro gli attacchi all’aborto libero, sicuro e gratuito, il DDL Pillon su separazioni e affido, le proposte sul terzo figlio e le proposte di modifica del congedo di maternità, che riaffermano una concezione patriarcale della famiglia. Prosegue inesorabile lo smantellamento dello “Stato sociale”, della sanità e dei servizi assistenziali pubblici, la distruzione e la privatizzazione della scuola e dell’Università pubbliche che saranno completati col progetto dell’“autonomia differenziata”. Anche il “Reddito di cittadinanza”, oltre ad essere parziale e discriminatorio, ha un carattere prettamente familista.

Particolarmente odiosa è la strumentalizzazione della violenza sulle donne per fomentare la politica xenofoba, razzista e fascista del governo sulla sicurezza e la migrazione.

La piattaforma del PMLI

Noi condividiamo in gran parte la piattaforma di Non una di meno e siamo disponibili a sostenere insieme le battaglie comuni a cominciare dalla battaglia contro la violenza maschile. Per noi rimangono comunque fondamentali e prioritarie le battaglie per i diritti sociali a cominciare dal lavoro che deve essere a tempo pieno, a salario intero e sindacalmente tutelato per tutte le donne e la costruzione di una fitta rete di servizi sociali, sanitari e scolastici pubblici in tutto il territorio nazionale, a partire dal Mezzogiorno. Ci battiamo anche per il diritto alla casa per tutti; una sanità pubblica, universale, gratuita, gestita con la partecipazione diretta dei lavoratori e dei medici della sanità e delle masse popolari del territorio; diritto alla salute delle donne, medicina di genere, consultori pubblici autogestiti in tutte le città; diritto per tutti, ivi compreso le coppie di fatto, omosessuali e singoli, ad accedere gratuitamente alla fecondazione assistita” “omologa” e non, alla “maternità surrogata” nelle strutture pubbliche; divieto di avvalersi dell’“obiezione di coscienza” da parte dei medici; libertà di aborto per le minorenni nelle strutture pubbliche senza il consenso dei genitori o del giudice tutelare; nuovi farmaci e biotecnologie accessibili a tutti, farmaci antitumorali gratuiti; diritto all’eutanasia; piena assistenza pubblica e gratuita ai disabili; finanziamento diretto dei centri antiviolenza e per la loro costruzione dove non ci sono autogestiti dalle donne stesse; misure che garantiscano con certezza la sicurezza sul lavoro. Ci battiamo contro il welfare aziendale e la sanità e la previdenza integrativa e ci battiamo anche per abrogare la “riforma Fornero” ma anche le controriforme delle pensioni che l’hanno preceduta ripristinando un sistema pensionistico pubblico, universale, unificato, a ripartizione, pensione a 60 anni per gli uomini e 55 per le donne. In questo quadro respingiamo la “quota 100” che oltre ad essere una misura parziale e provvisoria, penalizza ulteriormente le donne che spesso hanno una vita lavorativa più breve e frazionata a causa della maternità e della maggiore precarietà.

Respingiamo il “Reddito di cittadinanza” approvato dal governo, ma anche la proposta alternativa delle femministe di un “reddito di esistenza” o di “autodeterminazione”. Se il primo è un puro inganno, una manciata di elemosina di carattere familistico, razzista e discriminatorio, il secondo rivendica un diritto alla “sussistenza” individuale che mette in secondo piano la rivendicazione principale e fondamentale del diritto al lavoro per tutte le donne e finisce col monetizzare di fatto il lavoro domestico e familiare che continuerebbe a gravare esclusivamente sulle spalle delle donne

La povertà che colpisce doppiamente le donne si combatte aumentando salari e pensioni, dando lavoro ai disoccupati, eliminando la precarietà, rendendo effettivamente gratuiti i diritti essenziali come la sanità e la scuola e a basso costo gli altri servizi sociali e pubblici, riducendo il costo degli affitti e finanziando la costruzione di alloggi popolari sufficienti al fabbisogno abitativo.

Discorso diverso è il sostegno economico e sociale alle donne che fuggono da situazioni di violenza che deve essere garantito, ma che comunque deve avere un carattere temporaneo e finalizzato a rendere indipendenti economicamente le donne attraverso il lavoro, l’assegnazione di case popolari e quant’altro è necessario.

Secondo noi marxisti-leninisti combattere oggi il capitalismo vuol dire anche fare affidamento solo sulla lotta di classe di massa e abbandonare ogni illusione elettorale, parlamentare, governativa, costituzionale, riformista e pacifista, che già nel passato hanno fatto arenare il movimento delle donne, scegliendo l’astensionismo elettorale tattico alle prossime elezioni amministrative di primavera come un voto dato al PMLI e al socialismo.

Per quanto riguarda le prossime elezioni europee i marxisti-leninisti invitano, da sempre, gli elettori a impugnare l’astensionismo di principio per delegittimare l’Unione europea imperialista e antipopolare, il parlamento europeo e le altre istituzioni europee al suo servizio. Un’alleanza imperialista che non può essere riformata ma che va distrutta.

Il nostro lavoro fra le masse femminili

La Terza Internazionale, di cui il Comitato centrale del PMLI ha celebrato con un importante documento di valore internazionale il centenario caduto il 2 marzo, nelle tesi dell’aprile 1925 sulla bolscevizzazione dei partiti comunisti ha rilevato che “attrarre le donne proletarie al lavoro e alla lotta attiva è condizione preliminare per guadagnare alla nostra causa la maggioranza della classe operaia”.

In questo compito un ruolo fondamentale lo dovranno svolgere le compagne, militanti e simpatizzanti del Partito, meritatamente definite ancora una volta dal Segretario generale “le eroine rosse del PMLI e del proletariato”.

Si tratta di sostenere e battersi in ogni luogo dove operiamo, nelle fabbriche e nei luoghi di lavoro, nel sindacato, nelle scuole, nei quartieri, nel movimento Non una di meno e in tutti gli altri movimenti di lotta, sulla base della nostra piattaforma rivendicativa per soddisfare i bisogni e le aspirazioni delle masse femminili. Nel contempo però non dobbiamo rinunciare a far conoscere e propagandare dialetticamente fra le masse femminili la concezione di classe e rivoluzionaria dell’emancipazione della donna combattendo le tesi femministe, individualiste, separatiste e piccolo-borghesi, da una parte, e le tesi e la politica familiste e reazionarie del governo, del papa e della Chiesa cattolica, dall’altra. Affinché le proletarie, le lavoratrici più coscienti, informate e avanzate, le giovani rivoluzionarie riscoprano e seguano la via di classe e rivoluzionaria dell’emancipazione delle donne, e sposino la causa del socialismo e del PMLI.

L’Italia si cambia solo sviluppando fino in fondo la lotta di classe contro il capitalismo, la classe dominante borghese e i suoi governi qualunque etichetta essi portano. Noi marxisti-leninisti italiani cercheremo di spingerla fino all’insurrezione del proletariato e delle masse lavoratrici e popolari, fino alla conquista del socialismo e poi del comunismo. Solo così potremo garantire alle donne e all’intera umanità la vera emancipazione.

Il movimento operaio femminile – diceva Lenin – si pone come compito principale la lotta per conquistare alla donna l’eguaglianza economica e sociale, e non soltanto quella formale. Far partecipare la donna al lavoro sociale produttivo, strapparla alla ‘schiavitù domestica’, liberarla dal peso degradante e umiliante, eterno ed esclusivo della cucina e della camera dei bambini: ecco qual è il compito principale.

Sarà una lotta lunga perché esige la trasformazione radicale della tecnica sociale e dei costumi. Ma essa si concluderà con la completa vittoria del comunismo”(Lenin, La giornata internazionale della donna, 4 marzo 1920, opere complete, vol. 30, pag.368).

Viva l’8 Marzo, giornata internazionale delle donne!

Viva l’emancipazione delle donne!

Viva lo sciopero globale dell’8 Marzo!

Lottiamo per buttar giù il governo nero fascista e razzista Salvini-Di Maio!

Viva l’Italia unita, rossa e socialista!

Coi Maestri e il PMLI vinceremo!

di Monica Martenghi,

Responsabile della Commissione donne del CC del PMLI (Editoriale apparso su “Il Bolscevico”, organo del PMLI, n. 9/2019)

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