CROCIFISSO E PRESEPE SIMBOLI DI CIVILTA’, RISPETTIAMOLI! DI ANTIMO PUCA

In tutte le grandi tradizioni i passaggi decisivi, nel nostro caso il Natale e la Pasqua, diventano “luoghi di riconoscimento” non solo religioso, ma culturale e sociale. Fare il presepe a Natale e visitare i sepolcri a Pasqua diventano “luoghi di identità”.

Proprio in questo passaggio le tradizioni si mettono a rischio perché concentrano in un unico punto tutti i messaggi e proprio per questo sovraccarico rischiano di perderne il senso. Presepe e Crocifisso diventano cosi’ meri simboli di identità, in cui la comunità si identifica “contro” qualcuno, contraddicendo in modo vergognoso il significato del simbolo stesso. Il presepe in modo esemplare costituisce un caso tipico di questa tentazione. Scoppia una battaglia tra coloro che osannano la sacrosanta laicità di Stato e istituzioni e i tradizionalisti, categoria ormai ridotta a pochi esemplari e destinata a essere confinata nelle riserve, secondo la vulgata moderna. Come se un crocifisso o un presepe fossero strumenti di divisione, di turbamento. Come se una tradizione secolare, come se gli stessi fondamenti della cultura occidentale, quindi la nostra, che la scuola, benchè pubblica, dovrebbe contribuire a trasmettere, fossero in qualche modo discriminatori nei confronti di chi, bontà sua, la pensa diversamente, segue altre religioni o, meglio, nessuna. Tra le tante, esiste una semplice risposta a tutto questo, basta guardarci intorno: tradizione, storia e arte che contraddistinguono il nostro bellissimo paese esprimono concetti diversi. E’ un’evidenza, non un punto di vista. Il tentativo di crocifiggere il crocifisso e sbaragliare il presepe, anche se nessuno dei responsabili lo ammette, ha il solo scopo di affermare, spesso con violenza, un rifiuto nel nome del progresso degli stessi Valori non negoziabili, (personalmente li
definisco essenziali), che costituiscono il presupposto delle nostre vite, della nostra esistenza, della nostra civiltà. Si tratta della stessa prepotenza che spinge a usare la forza, fisica, purtroppo, nei confronti di chi, umilmente, e un pò ingenuamente, afferma che un bambino nasce dall’unione di un uomo e una donna, che i diritti alla felicità individuale non esistono “per principio”, che le leggi non si disegnano sui desiderii e i capricci delle varie lobby che strumentalizzano la politica e ne sono a loro volta strumentalizzate. L’unico diritto incontestabile, in questa prospettiva, è quello del bambino: avere un padre e una madre. Affermare questa assoluta verità, magari in piazza leggendo un libro, in piedi, senza far rumore, genera irritazione,
rabbia. E botte. Quasi settanta anni fa un parroco diede fuoco a Babbo Natale sul sagrato della chiesa, per difendere Gesù Bambino dai culti pagani. Questo episodio diede lo spunto, a C. Lèvi Strauss per scrivere un bell’opuscolo dal titolo “Babbo Natale giustiziato” nel quale metteva in luce la profonda continuità tra culto
pagano e culto cristiano, sulla base della antica festa del Sol invictus, dove i temi della luce, delle piante sempreverdi e dei vecchi/morti e dei bambini/neonati si intrecciano strutturalmente. In questo contesto, quando la polemica diventa vuota e formale, possiamo trovare il paradosso per cui politici senza vero retroterra di fede, la cui sensibilità verso l’irregolare è proverbiale, diventino i difensori del presepe, e del
crocifisso, pretendendo di far passare pastori e cristiani come nemici del popolo. Presepe dice in latino mangiatoia e costituisce la versione di Luca del mostrarsi del Salvatore che si rivela ai pastori irregolari e non ai buoni credenti regolari del tempo. La tensione, in quel testo di Luca, è tra la grandezza del Signore e la piccolezza umana che può riconoscerlo solo nella irregolarità dei pastori. Nella versione di Matteo,
invece, la dose è ancora rincarata: la tensione è tra la stella e i magi che la seguono, nella loro condizione di irregolari e la ostilità viscerale dei regolari. Il presepe, mescolando tutti questi messaggi, rischia di non aumentare, ma di diminuire la forza della tradizione, riducendola a un soprammobile borghese. Il presepe significa che ultimi e irregolari riconoscono Gesù, mentre Governatori, Ministri e regolari cercano di ucciderlo. Esattamente come a Pasqua sanno riconoscere Gesù una donna dai molti mariti, un disabile grave come il cieco nato e un cadavere come Lazzaro, mentre i potenti lo uccidono senza pietà. Ciò che il mondo deve chiedere con parole pacate è un passo avanti nell’assumere il significato autentico del presepe e del Crocifisso, chiedendo ai politici di fare un passo indietro su temi che non si possono fare entrare nella bieca speculazione politica. Fare un passo indietro non significa creare un vuoto o assecondare intransigenze laiciste, ma trovare nelle tradizioni, che ci appartengono e alimentano la nostra fede, germi di dialogo. Il Natale in questo senso è un esempio straordinario, un’occasione di incontro tra regolari ed irregolari che riconoscono in Gesù un profeta e venerano Maria. Solo con un piccolo passo indietro si fa un
grande passo avanti. E’ ovvio che per chi gioca solo su odio e su disprezzo anche il presepe e il crocifisso possono diventare non strumenti simbolici di comunione ma strumenti di disprezzo. E non a caso che i politici dell’odio e della indifferenza oppongano a questo una resistenza viscerale. Vogliono cacciare gli irregolari e i crocifissi e avere in ogni ufficio Crocifissi e presepi come soprammobili. Difficile stabilire chi vincerà una guerra che, a detta di chi scrive, non avrebbe neanche il presupposto di esistere. Un pò come tutte le guerre, del resto. O riempiamo di simboli natalizi e pasquali un luogo che sappia dimostrarsi accogliente e non indifferente. O scegliamo di cacciare gli irregolari e tutti i Crocifissi, ma, almeno, per un
minimo di pudore, cerchiamo di arrossire davanti ai simboli di ciò che non accettiamo e vogliamo soltanto combattere. Non si può estirpare l’anima.
Antimo Puca

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