Cala il sipario sulla legislatura numero diciassette. Dopo aver ricevuto al Quirinale il premier Gentiloni e i presidenti di Camera e Senato, Sergio Mattarella ha sciolto le Camere. È l’atto finale che porta alle elezioni: gli italiani saranno chiamati alle urne domenica 4 marzo, poi le nuove Camere si riuniranno il 23 dello stesso mese per eleggere i presidenti.
Da ieri l’Italia è in campagna elettorale. Da qui al voto resta a Palazzo Chigi Gentiloni: il suo governo non si è dimesso, i poteri non sono limitati all’ordinaria amministrazione. Insomma, le Camere chiudono i battenti, ma il governo non va in vacanza.
«L’Italia non si mette in pausa. Il governo non tira i remi in barca, continuerà a governare», ha spiegato il premier nella conferenza stampa di fine anno che ha preceduto di qualche ora l’epilogo della legislatura. Dietro la scelta di Gentiloni, condivisa con Mattarella, la quasi certezza che le elezioni non avranno un vincitore e che servirà tempo per formare un nuovo governo.
Anche Gentiloni lo ha dato per scontato: il premier non ha voluto dire se gli italiani lo ritroveranno a Palazzo Chigi come premier di un governo di larghe intese, ma ha sostenuto che anche senza un vincitore la situazione «potrà essere gestita» con «senso della misura e senso della responsabilità», come del resto è successo in Germania, Gran Bretagna e Spagna.
Mattarella: «Quello delle elezioni non è mai un passaggio drammatico»
«Quello delle elezioni non è mai un passaggio drammatico». Risponde così il presidente della Repubblica al cronista che gli augura di risparmiare le forze in attesa delle elezioni di marzo e delle successive fatiche per la formazione di un nuovo governo. E in questa risposta c’è tutto il personaggio Mattarella, la sua impostazione rispettosa dei ruoli, la convinzione che i problemi vadano affrontati nel momento in cui si pongono. E soprattutto la consapevolezza che il lavoro di «arbitro» si esercita smussando gli angoli, cercando di ridurre le distanze calpestando solo vie illuminate dai lampioni della Carta costituzionale.
Ecco perché l’ex giudice della Consulta ha già fatto sapere che non basterà a nessuno avere un voto in più – o, per capirci, pochi punti percentuali in più – per ottenere l’incarico della formazione di Governo. L’obiettivo del ricorso alle urne è la governabilità e non un effimero «red carpet» quirinalizio con destinazione il nulla. Dopo le consultazioni salirà al Colle solo chi avrà più chance di formare un esecutivo, come ordina la Costituzione di una repubblica parlamentare. E come vuole, al Quirinale non sfugge, una nuova legge elettorale tutt’oggi misteriosa ma che certamente non rinvigorisce la figura del candidato premier.