RICHIEDENTI ASILO A PROCIDA: LE RAGIONI DELL’ACCOGLIENZA

 

Il 20 giugno, in occasione della Giornata Mondiale del Rifugiato, l’amministrazione comunale ha annunciato la presentazione di un progetto SPRAR, ovvero di un progetto facente parte del sistema di protezione per richiedenti asilo e rifugiati, che comporterebbe l’accoglienza di 34 stranieri.

La notizia ha diviso la popolazione procidana, tra chi si è mostrato favorevole al progetto e chi viceversa ha ribadito con forza, la contrarietà a qualsivoglia forma di accoglienza per chi scappa da guerra e terrorismo.

Così in quella agorà contemporanea che è Facebook, si è sentita la voce di chi è preoccupato che l’arrivo dei rifugiati comporti  la rimozione dei crocifissi dalle scuole e per la perdita delle tradizioni cristiane, chi teme per i bambini, forse ricordandosi la filastrocca che da piccoli ci diceva che l’uomo nero tiene i bambini un anno intero; chi infine, con un volo pindarico, che sfugge ad ogni logica, ha messo in connessione l’arrivo dei rifugiati con il contributo di sbarco a carico dei procidani non più residenti sull’isola!

Occorre fare un po’ di chiarezza. Innanzitutto la decisione dell’amministrazione di presentare un progetto SPRAR, nasce dopo vari incontri avvenuti tra il Prefetto di Napoli e i sindaci della provincia. In questi incontri si è evidenziato che il Ministero dell’Interno, intende procedere ad una distribuzione capillare dei richiedenti asilo, per venire incontro, da un lato alle esigenze di quelle Regioni italiane che sono da anni impegnate in prima linea nella accoglienza, prime fra tutte la Sicilia.

In secondo luogo, in quanto si ritiene che una distribuzione più omogenea dei richiedenti asilo, sul territorio nazionale favorisca la c.d. accoglienza integrata ovvero, il superamento della sola distribuzione di vitto e alloggio, prevedendo in modo complementare anche misure di informazione, accompagnamento, assistenza e orientamento, attraverso la costruzione di percorsi individuali di inserimento socio-economico.

Migliore integrazione e inserimento dei richiedenti asilo fa si che gli stessi non rimangano ai margini della società, e non si collochino, nemmeno geograficamente nelle periferie delle grandi città, dove prolifera degrado e  senso di abbandono, in un mix letale che va dalle piazze di droga a cielo aperto di Scampia, ai pedofili del parco verde di Caivano, alle periferie europee dove gli emarginati diventano terroristi.

La buona integrazione di oggi è, infatti, la migliore sicurezza per il domani.

Il Ministero dell’Interno chiede pertanto ai Sindaci di fare la loro parte, in quanto ogni Comune deve avere un numero di richiedenti asilo, in proporzione al numero di abitanti. (3 ogni 1000,di qui il numero di 34 per l’isola di Procida). L’alternativa è tra presentare un progetto e aderire allo SPRAR, o non fare nulla e aspettare che per ragioni di emergenza il Prefetto requisisca una struttura, pubblica o privata, e vi piazzi un CAS, ossia un centro di assistenza straordinaria.

In parole povere la scelta era tra gestire l’accoglienza, attraverso lo SPRAR, o subire l’accoglienza  mediante un centro di assistenza straordinaria. Le voci contrarie all’accoglienza umanitaria affermano, categoricamente, che non è possibile aprire un CAS a Procida, che in fondo “ costerebbe troppo”, e “poi hanno chiuso anche il carcere” (non si comprende quale sia il nesso, ma ho sentito anche questo). Ebbene nulla di più falso. I dati obiettivi dicono che  i Cas in questo momento ospitano oltre il 72% di tutti i migranti accolti nei centri di accoglienza italiani, ovvero poco meno di tre migranti su quattro, mentre il sistema ordinario, basato sul sistema Sprar, che ha maggiori garanzie e fornisce maggiori servizi, ha in questo momento un numero marginale di accoglienze. Va da sé che la necessità di collocare i richiedenti asilo, in assenza di strutture aderenti al progetto SPRAR, potrebbe far cadere la scelta di un centro straordinario anche sull’isola di Procida, indipendentemente dai costi, in quanto ricadente in una situazione emergenziale.

È evidente che attendere che l’emergenza piombi addosso ad una comunità è una scelta che è a discapito della comunità stessa.

Ma chi accogliamo? I destinatari del progetto SPRAR sono i richiedenti asilo e rifugiati.

Secondo la legge, lo straniero che fa richiesta di asilo e del riconoscimento dello status di rifugiato non può essere espulso fino a quando uno specifico organo, la Commissione territoriale per il riconoscimento dello status di rifugiato, si pronunci sull’accoglimento e il rigetto della domanda.

Non va dimenticato che  il diritto di Asilo è riconosciuto dalla Costituzione italiana all’art. 10. L’istituto del diritto di asilo non coincide con quello del riconoscimento dello status di rifugiato, per il quale non è sufficiente che nel Paese di origine siano generalmente negate le libertà fondamentali, ma il singolo richiedente deve aver subito, o avere il fondato timore di poter subire, specifici atti di persecuzione.

Il riconoscimento dello status di rifugiato è entrato nel nostro ordinamento con l’adesione alla Convenzione di Ginevra del 28 luglio 1951 che definisce lo status di rifugiato.Ai sensi dell’art. 1, lett. a), della Convenzione è rifugiato “chi temendo a ragione di essere perseguitato per motivi di razza, religione, nazionalità, appartenenza ad un determinato gruppo sociale o per le sue opinioni politiche, si trova fuori del Paese di cui è cittadino e non può o non vuole, a causa di questo timore, avvalersi della protezione di questo Paese; oppure che, non avendo una cittadinanza e trovandosi fuori del Paese in cui aveva residenza abituale a seguito di siffatti avvenimenti, non può o non vuole tornarvi per il timore di cui sopra”.

La legge riconosce altre due forme di protezione. Una  è la protezione sussidiaria. Anche essa  è uno status, al pari di quello di rifugiato, che viene riconosciuto dalla Commissione territoriale competente in seguito alla presentazione di domanda di protezione internazionale. Qualora il richiedente non possa dimostrare una persecuzione personale ai sensi della Convenzione di Ginevra, ma si ritiene che rischi di subire un danno grave (condanna a morte, tortura, minaccia alla vita in caso di guerra interna o internazionale) nel caso di rientro nel proprio paese, può ottenere la protezione sussidiaria.

L’ultima  forma di protezione è  quella c.d. umanitaria, e consente il  rilascio del permesso di soggiorno  per motivi umanitari qualora ricorrono “seri motivi, in particolare di carattere umanitario o risultanti da obblighi costituzionali o internazionali dello Stato italiano”. La giurisprudenza ha provveduto a individuare una casistica relativa alle situazioni di protezione umanitaria, che vanno dalla instabilità politica, alle gravi carestie, alle violenze sessuali, allo sfruttamento dell’infanzia.

Come si vede non è solo la guerra che giustifica il rilascio di queste forme di protezione. Non solo Siriani, dunque, ma anche i Gambiani che fuggono da un clima di instabilità politica dopo la fine di una dittatura sanguinaria durata 23 anni; i Nigeriani, stretti dai terroristi di Boko Haran a nord e le bande criminali al sud;i Pakistani del Punjab, dilaniati da un estremismo islamico fuori misura, e tanti altri.

Da ultimo con quattro sentenze del marzo/aprile 2017 il Tribunale di Napoli ha riconosciuto il diritto al permesso umanitario anche a chi scappa dalla fame, mettendo fine ad una assurda discriminazione tra disperati.

Perché accogliere dunque? Al di là degli obblighi legali, vi è un dovere morale di solidarietà che impone di non restare inerti innanzi a quella che è senza dubbio una grande ed epocale migrazione, come quelle che spopolarono il nostro sud dopo l’unità di Italia o durante il boom economico degli anni 60.  L’Europa da terra di emigrazione verso il nuovo mondo è diventata terra di immigrazione, e si calcola che i flussi migratori dureranno anni. Aiutarli a casa loro non può significare lasciare che il Mediterraneo si trasformi nel più grande cimitero al mondo con 4.733 morti solo nel 2016, anno di record negativo dal 2008.

Procida è chiamata a fare la sua parte. Sarà una sfida di coraggio, conoscenza, umanità, contro paura, ignoranza, razzismo. Una sfida che si può e si deve vincere.

“La vostra esperienza di dolore e di speranza ci ricorda che siamo tutti stranieri e pellegrini su questa Terra, accolti da qualcuno con generosità e senza alcun merito. Chi come voi è fuggito dalla propria terra a causa dell’oppressione, della guerra, di una natura sfigurata dall’inquinamento e dalla desertificazione, o dell’ingiusta distribuzione delle risorse del pianeta, è un fratello con cui dividere il pane, la casa, la vita (Papa Francesco).

Claudia Esposito

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